2ª DOMENICA DI PASQUA o della DIVINA MISERICORDIA
Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 20,19-31
La
sera di quello stesso
giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo
dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si
fermò in
mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e
il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù
disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io
mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse:
«Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e
a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi». Tommaso, uno
dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli
dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma
egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non
metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo
costato, non crederò». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in
casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si
fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso:
«Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano,
e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!».
Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse:
«Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo
visto crederanno!». Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi
discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati
scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e
perché,
credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Traduzione liturgica della
Bibbia
Corrispondenza da l’"Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta
Volume 10 Capitolo 627 pagina 267
Sono
raccolti nel Cenacolo.
La sera deve essere ben tarda, perché nessun rumore viene più dalla via
né dalla casa. Penso che anche quelli che erano venuti prima si siano
tutti
ritirati o alle proprie case o a dormire, stanchi di tante emozioni. I
dieci invece, dopo avere mangiato dei pesci, di cui ancora qualcuno
sussiste su
un vassoio posato sulla credenza, stanno parlando sotto la luce di una
sola fiammella del lampadario, la più vicina alla tavola. Sono ancora
seduti
alla stessa. E hanno discorsi spezzati. Quasi dei monologhi, perché pare
che ognuno, più che col compagno, parli con se stesso. E gli altri lo
lasciano parlare, magari parlando a loro volta di tutt'altra cosa. Però
questi discorsi slegati, che mi fanno l'impressione dei raggi di una
ruota
sfasciata, si sente che appartengono ad un solo argomento che li
accentra, anche se così sparsi. E che è Gesù.
«Non vorrei che Lazzaro
avesse udito male, e meglio di lui avessero capito le donne...», dice Giuda d'Alfeo.
«A che ora ha detto di
averlo visto la romana?», chiede Matteo. Nessuno gli risponde.
«Domani io vado a
Cafarnao», dice Andrea.
«Che meraviglia! Fare
sì che esca proprio in quel momento la lettiga di Claudia!», dice Bartolomeo.
«Abbiamo fatto male,
Pietro, a venire via subito questa mattina... Fossimo rimasti, lo avremmo visto come la
Maddalena», sospira Giovanni.
«Io
non capisco come
poté essere a Emmaus e in palazzo insieme. E come qui dalla Madre, e
dalla Maddalena e da Giovanna insieme...», dice a se stesso Giacomo di
Zebedeo.
«Non
verrà. Non ho
pianto abbastanza per meritarlo... Ha ragione. Io dico che per tre
giorni mi fa aspettare per le mie tre negazioni. Ma come, come ho potuto
fare
quello?».
«Come
era trasfigurato
Lazzaro! Vi dico: pareva lui un sole. Io penso gli sia successo come a
Mosè dopo avere visto Dio. E subito vero, voi che eravate là? subito
dopo
avere offerto la sua vita!», dice lo Zelote. Nessuno lo ascolta.
Giacomo
d'Alfeo si volta da
Giovanni e dice: «Come ha detto a quelli di Emmaus? Mi pare che ci abbia
scusati, non è vero? Non ha detto che tutto è avvenuto per il nostro
errore di israeliti sul modo di capire il suo Regno?».
Giovanni
non gli dà nessuna
retta e, volgendosi a guardare Filippo, dice... all'aria, perché a
Filippo non parla: «A me basta di saperlo risorto. E poi... E poi che il
mio
amore sia sempre più forte. Visto, eh! È andato, se voi guardate, in
proporzione all'amore che avemmo: la Madre,
Maria Maddalena, i bambini, mia madre e la tua, a poi Lazzaro e
Marta... Quando a Marta? Io dico quando ella
intonò il salmo davidico: "Il Signore è mio pastore, non mi mancherà
nulla. Egli mi ha posto in luogo di abbondanti pascoli, mi ha condotto
ad
acque ristoratrici. Ha richiamato a Sé l'anima mia...". Ricordi come ci
fece sussultare con quell'inaspettato canto? E quelle parole si
riconnettono a quanto ha detto: "Ha richiamato a Sé l'anima mia".
Infatti Marta sembra avere ritrovato la sua via... Prima era smarrita,
lei, la forte! Forse nel richiamo le ha detto il luogo dove la vuole. È
certo anzi, perché, se le ha dato appuntamento, deve sapere dove lei
sarà.
Che avrà voluto dire dicendo: "Sponsali compiuti?"».
Filippo, che lo ha guardato
un momento e poi lo ha lasciato monologare, geme: «Io non saprò che dirgli se viene... Io sono fuggito... e sento che fuggirò. Prima per paura degli uomini. Ora per paura di
Lui».
«Dicono tutti: "È
bellissimo". Può mai essere più bello di quanto già era?», si chiede Bartolomeo.
«Io
gli dirò: "Mi
hai perdonato senza parola quando ero pubblicano. Perdonami anche ora
col tuo silenzio, perché non merita la mia viltà la tua parola"»,
dice Matteo.
«Longino dice che ha
pensato: "Devo chiedergli di guarire o di credere?". Ma ha detto il suo cuore: "Di credere", e allora la Voce ha detto: "Vieni a Me", ed egli ha sentito la volontà di credere e la guarigione
insieme. Me lo ha proprio detto così», afferma Giuda d'Alfeo.
«Io
sono sempre fisso
al pensiero di Lazzaro, premiato subito per la sua offerta... L'ho detto
io pure: "La mia vita per la tua gloria". Ma non è venuto»,
sospira lo Zelote.
«Che dici, Simone? Tu
che sei colto, dimmi: che gli devo dire per fargli capire che lo amo e chiedo perdono? E tu, Giovanni? Tu hai parlato molto con la Madre. Aiutami. Non è pietà lasciare solo il povero
Pietro!».
Giovanni
si muove a
compassione dell'avvilito compagno e dice: «Ma... ma io gli direi
semplicemente: "Ti amo". Nell'amore è compreso anche il desiderio
del perdono e il pentimento. Però... non so. Simone, che dici tu?».
E lo Zelote: «Io direi
quello che era il grido dei miracoli: "Gesù, pietà di me!". Direi: "Gesù". E basta. Perché è ben più del Figlio di
Davide!».
«È ben quello che
penso e che mi fa tremare. Oh! io nasconderò il capo... Anche stamane avevo paura di vederlo e...».
«...e poi sei entrato
per primo. Ma non temere così. Sembra che tu non lo conosca», lo rincuora Giovanni.
La
stanza si illumina
vivamente come per un lampo abbagliante. Gli apostoli si celano il viso
temendo sia un fulmine. Ma non odono rumore e alzano il capo. Gesù è in
mezzo alla stanza, presso la tavola. Apre le braccia dicendo: «La pace sia con
voi».
Nessuno
risponde. Chi più
pallido, chi più rosso, lo fissano tutti con paura e soggezione.
Affascinati e nello stesso tempo vogliosi quasi di fuggire. Gesù fa un
passo
avanti, aumentando il suo sorriso.
«Ma
non temete così!
Sono Io. Perché così turbati? Non mi desideravate? Non vi avevo fatto
dire che sarei venuto? Non ve lo avevo detto fin dalla sera pasquale?».
Nessuno
osa aprire bocca.
Pietro piange già e Giovanni già sorride, mentre i due cugini, con gli
occhi lustri e un movimento di parola senza suono sulle labbra, sembrano
due
statue raffiguranti il desiderio.
«Perché
nei cuori
avete pensieri così in contrasto fra il dubbio e la fede, l'amore e il
timore? Perché ancora volete essere carne e non spirito, e con questo
solo
vedere, comprendere, giudicare, operare? Sotto la vampa del dolore non
si è tutto arso il vecchio io, e non è sorto il nuovo io di una vita
nuova?
Sono Gesù. Il vostro Gesù, risorto
come aveva detto. Guardate. Tu che le hai viste le ferite e
voi che ignorate la mia tortura. Perché quanto sapete è ben diverso
dalla
conoscenza esatta che ne ha Giovanni. Vieni, tu per il primo. Sei già
tutto mondo. Tanto mondo che mi puoi toccare senza tema. L'amore,
l'ubbidienza,
la fedeltà già ti avevano fatto mondo. Il mio Sangue, di cui fosti tutto
rorido quando mi deponesti dal patibolo, ti ha finito di purificare.
Guarda. Sono vere mani e vere ferite. Osserva i miei piedi. Vedi come il segno è
quello del chiodo? Sì. Sono proprio Io e non un fantasma. Toccatemi. Gli spettri non hanno corpo. Io ho vera Carne sopra un vero
scheletro».
Posa la Mano sul capo di Giovanni che ha osato andargli vicino: «Senti? È calda e pesante». Gli
alita in volto: «E questo è respiro».
«Oh! mio Signore!
», Giovanni mormora piano, così...
«Sì. Il vostro
Signore. Giovanni, non piangere di timore e di desiderio. Vieni a Me. Sono sempre quello che ti amo. Sediamo, come sempre, alla tavola. Avete nulla più da mangiare? Datemelo, dunque».
Andrea e Matteo, con mosse da
sonnambuli, prendono dalle credenze il pane e i pesci e un vassoio con un favo appena sbocconcellato in un angolo. Gesù offre il cibo e mangia, a dà ad ognuno un poco di quanto mangia. E li guarda. Tanto buono. Ma tanto
maestoso che essi ne sono paralizzati.
Osa parlare per primo
Giacomo, fratello di Giovanni: «Perché ci guardi così?».
«Perché voglio
conoscervi».
«Non ci conosci
ancora?».
«Come
voi non conoscete
Me. Se mi conosceste, sapreste Chi sono e come vi amo, e trovereste le
parole per dirmi il vostro tormento. Voi tacete. Come di fronte ad un
estraneo
potente di cui temete. Poco fa parlavate... Sono quasi quattro giorni
che parlate con voi stessi dicendo: "Gli dirò questo...", dicendo
allo Spirito mio: "Torna, Signore, che io ti possa dire questo". Ora
sono venuto e voi tacete? Tanto mutato sono che più non vi paio Io? O
tanto mutati siete da non amarmi più?».
Giovanni,
seduto presso al
suo Gesù, ha l'atto abituale di posargli la testa sul petto mentre
mormora: «Io ti amo, mio Dio», ma si irrigidisce vietandosi questo
abbandono per rispetto allo sfolgorante Figlio di Dio. Perché Gesù pare
emanare una luce pur essendo di una Carne pari alla nostra. Ma Gesù se
lo
attira sul Cuore, e allora Giovanni apre la diga al suo pianto beato. Ed
è il segnale a tutti di farlo.
Pietro,
due posti dopo
Giovanni, scivola fra la tavola e il sedile e piange gridando: «Perdono,
perdono! Levami da questo inferno in cui sono da tante ore. Dimmi che
hai visto il mio errore per quello che fu. Non dello spirito. Ma della
carne che mi ha soverchiato il cuore. Dimmelo che hai visto il mio
pentimento... Esso durerà fino alla morte. Ma Tu... ma Tu dimmi che come
Gesù non ti devo temere... e io, e io... io cercherò di fare così bene
da
farmi perdonare anche da Dio... e morire... avendo solo un gran
purgatorio da fare».
«Vieni qui, Simone di
Giona».
«Ho paura».
«Vieni qui. Non essere
oltre vile».
«Non lo merito di
venirti accosto».
«Vieni qui. Che ti ha
detto la Madre?
"Se non Lo guardi su questo sudario non avrai cuore di guardarlo
mai più". O uomo stolto! Quel Volto non ti ha detto col suo sguardo
doloroso che ti capivo e che ti perdonavo? Eppure l'ho dato quel lino
per
conforto, per guida, per assoluzione, per benedizione... Ma che vi ha fatto satana
per accecarvi tanto? Ora Io ti dico: se non mi guardi ora che
sulla mia gloria ho ancora steso un velo per adeguarmi alla vostra
debolezza,
non potrai mai più venire senza paura al tuo Signore. E che ti avverrà
allora? Per presunzione peccasti. Vuoi ora tornare a peccare per
ostinazione?
Vieni, ti dico».
Pietro si trascina sui
ginocchi, fra il tavolo e i sedili, con le mani sul volto piangente. Lo ferma Gesù, quando è ai suoi piedi, mettendogli la Mano sul capo. Pietro, con un pianto anche più forte, prende quella Mano e la bacia fra un vero
singhiozzare senza freno. Non sa che dire:
«Perdono!
Perdono!».
Gesù
si libera dalla sua
stretta e, facendo leva della sua mano sotto il mento dell'apostolo, lo
obbliga ad alzare il capo e lo fissa negli occhi arrossati, bruciati,
straziati dal pentimento, coi suoi fulgidi Occhi sereni. Pare gli voglia
trivellare l'anima. Poi dice: «Andiamo. Levami l'obbrobrio di Giuda.
Baciami dove egli baciò. Lava col tuo bacio il segno del tradimento».
Pietro
alza il capo, mentre
Gesù si china ancora di più, e sfiora la guancia... poi china il capo
sulle ginocchia di Gesù e sta così... come un vecchio bambino che ha
fatto
del male ma che è perdonato.
Gli
altri, ora che vedono la
bontà del loro Gesù, ritrovano un po' di ardire e si accostano come
possono. Vengono prima i cugini... Vorrebbero dire tanto e non riescono a
dire
nulla. Gesù li carezza e rincuora col suo sorriso. Viene Matteo con
Andrea.
Matteo dicendo: «Come a
Cafarnao...», e Andrea: «Io, io... ti amo io».
Viene Bartolomeo gemendo:
«Non sapiente fui. Ma stolto. Questo è sapiente», e accenna allo Zelote, al quale Gesù sorride già.
Giacomo di Zebedeo viene e
sussurra a Giovanni: «Diglielo tu...»; Gesù si volge e dice: «Da quattro sere lo hai detto e da tanto Io ti ho
compatito».
Filippo, per ultimo, viene
tutto curvo. Ma Gesù lo forza ad alzare il capo e gli dice: «Per predicare il
Cristo occorre maggior coraggio».
Ora
sono tutti intorno a
Gesù. Si rinfrancano piano piano. Ritrovano quanto hanno perduto o
temuto di avere per sempre perduto. Riaffiora la confidenza, la
tranquillità e,
per quanto Gesù sia tanto maestoso da tenere in un rispetto nuovo i suoi
apostoli, essi trovano finalmente il coraggio di parlare.
È
il cugino Giacomo che
sospira: «Perché ci hai fatto questo, Signore? Tu lo sapevi che noi non
siamo nulla e che ogni cosa da Dio viene. Perché non ci hai dato la
forza di essere al tuo fianco?». Gesù lo guarda e sorride.
«Ora
tutto è avvenuto.
E nulla più Tu devi patire. Ma non mi chiedere più questa ubbidienza.
Sono invecchiato ad ogni ora di un lustro, e le tue sofferenze, che
l'amore a
satana ugualmente aumentavano nella mia immaginazione di cinque volte
quel che già non fossero, hanno proprio consumato ogni mia forza. Non me
ne è
rimasta altro che per continuare ad ubbidire, tenendo, come un che
affoga con le mani spezzate, la mia forza con la volontà come fossero i
denti
afferranti una tavola, per non perire... Oh! non chiedere più questo al
tuo lebbroso!». Gesù guarda Simone Zelote e sorride.
«Signore,
Tu lo sai
quello che voleva il mio cuore. Ma poi non ho più avuto cuore... come me
lo avessero strappato i manigoldi che ti hanno preso... e mi è rimasto
un
buco da cui fuggiva ogni mio pensiero antecedente. Perché hai permesso
questo, Signore?», chiede Andrea.
«Io...
tu dici il
cuore? Io dico che fui uno senza più ragione. Come chi prende un colpo
di clava sulla nuca. Quando, a notte fatta, io mi trovai a Gerico... oh!
Dio!
Dio!... Ma può un uomo perire così? Io credo che così è la possessione.
Ora la capisco cosa è questa cosa tremenda!...». Filippo sbarra
ancora gli occhi al ricordo del suo soffrire.
«Ha
ragione Filippo. Io
guardavo indietro. Vecchio sono e non povero di sapienza. E più nulla
sapevo di quanto avevo saputo fino a quell'ora. Guardavo Lazzaro, così
straziato ma così sicuro, e mi dicevo: "Ma come può essere che egli
sappia ancora trovare una ragione ed io nulla più?"», dice
Bartolomeo.
«Io
pure guardavo
Lazzaro. E poiché io so appena ciò che Tu ci hai spiegato, non pensavo
al sapere. Ma dicevo: "Almeno nel cuore fossi uguale!"; invece io
non avevo che dolore, dolore, dolore. Lazzaro aveva dolore e pace...
Perché a lui tanta pace?».
Gesù
guarda a turno prima
Filippo, poi Bartolomeo, poi Giacomo di Zebedeo. Sorride e tace. Giuda
d’Alfeo dice: «Io speravo giungere a vedere ciò che certo Lazzaro
vedeva. Per questo gli stavo sempre presso... Il suo viso!... Uno
specchio. Un poco prima del terremoto del Venerdì egli era come uno che
muore
stritolato. E poi divenne di colpo maestoso nel suo dolore. Vi ricordate
quando disse: "Il dovere compiuto dà pace"? Noi tutti credemmo
fosse solo un rimprovero per noi o un'approvazione per se stesso. Ora
penso che lo dicesse per Te. Era un faro nelle nostre tenebre, Lazzaro.
Quanto
gli hai dato, Signore!».
Gesù sorride e tace.
«Sì.
La vita. E forse
con quella gli hai dato un'anima diversa. Perché, infine, che è lui di
diverso da noi? Eppure non è più un uomo. È già qualcosa di più
dell'uomo e, per quello che era in passato, avrebbe dovuto essere ancora
meno di noi perfetto di spirito. Ma lui si è fatto, e noi... Signore,
il mio
amore è stato vuoto come certe spighe. Solo pula ho dato», dice Andrea.
E
Matteo: «Io nulla
posso chiedere. Perché già tanto ho avuto con la mia conversione. Ma sì!
Avrei voluto avere ciò che ebbe Lazzaro. Un'anima data da Te. Perché
penso anche io come Andrea...».
«Anche
Maria Maddalena
e Marta furono dei fari. Sarà la razza. Voi non le avete viste. Una era
pietà e silenzio. L'altra! Oh! se siamo stati tutti un fascio intorno
alla
Benedetta, è perché Maria di Magdala ci ha stretti con le fiamme del suo
coraggioso amore. Sì. Ho detto: la razza. Ma devo dire: l'amore. Ci hanno superati nell'amore. Per questo sono stati quelli che furono»,
dice Giovanni.
Gesù sorride e tace sempre.
«Ne hanno avuto gran
premio però...».
«A loro
apparisti».
«A tutti a tre».
«A Maria Maddalena
subito dopo tua Madre...».
È chiaro negli apostoli un
rimpianto per queste apparizioni di privilegio.
«Maria ti sa risorto già da tante ore. E noi solo ora ti possiamo vedere...».
«Non
più dubbi in
loro. In noi, invece, ecco... solo ora sentiamo che nulla è finito.
Perché a loro, Signore, se ancora ci ami e non ci ripudi?», chiede Giuda
d'Alfeo.
«Sì. Perché alle donne, a specie a Maria? L'hai anche toccata sulla fronte, e lei dice che le pare di portare una corona
di fiori eterna. E a noi, i tuoi apostoli, nulla...».
Gesù
non sorride più. Il
suo Volto non è turbato, ma cessa il suo sorriso. Guarda serio Pietro
che ha parlato per ultimo, riprendendo ardire man mano che la paura gli
passa,
e dice:
«Avevo
dodici apostoli.
E li amavo con tutto il mio Cuore. Io li avevo scelti e come una madre
ne avevo curato la crescita nella mia Vita. Non avevo segreti per loro.
Tutto
dicevo, tutto spiegavo, tutto perdonavo. E le umanità, e le sventatezze,
e le caparbietà... tutto. E avevo dei discepoli. Dei ricchi e dei
poveri
discepoli. Avevo donne dal fosco passato o dalla debole costituzione. Ma
i prediletti erano gli apostoli. È venuta la mia ora. Uno mi ha tradito
e
consegnato ai carnefici. Tre hanno dormito mentre Io sudavo Sangue.
Tutti, meno due, sono fuggiti per viltà. Uno mi ha rinnegato avendo
paura,
nonostante avesse l'esempio dell'altro, giovane e fedele. E, quasi non
bastasse, fra i dodici ho avuto un suicida disperato e uno che ha
dubitato
tanto del mio perdono da non credere che a fatica, e per materna parola,
alla Misericordia di Dio. Di modo che, se avessi guardato alla mia
schiera,
se l'avessi guardata con occhio umano, avrei dovuto dire: "Meno
Giovanni, fedele per amore, e Simone, fedele all'ubbidienza, Io non ho
più
apostoli". Questo avrei dovuto dire mentre soffrivo nel recinto del
Tempio, nel Pretorio, per le vie e sulla Croce.
Avevo
delle donne... E una,
la più colpevole in passato, è stata, come Giovanni ha detto, la fiamma
che ha saldato le spezzate fibre dei cuori. Quella donna è Maria di
Magdala. Tu mi hai rinnegato e sei fuggito. Ella ha sfidato la morte per
starmi vicino. Insultata, ha scoperto il suo volto, pronta a ricevere
sputi e
ceffoni, pensando di assomigliare così di più al suo Re Crocifisso.
Schernita nel fondo dei cuori per la sua tenace fede nella mia
Risurrezione, ha
saputo continuare a credere. Straziata, ha agito. Desolata, stamane, ha
detto: "Di tutto mi spoglio, ma datemi il mio Maestro". Puoi osare ancora la domanda: "Perché a lei?".
Avevo
dei discepoli poveri:
dei pastori. Poco li ho avvicinati, eppure come seppero confessarmi con
la loro fedeltà! Avevo delle discepole timide, come tutte le donne
ebree.
Eppure hanno saputo lasciare la casa e venire fra la marea di un popolo
che mi bestemmiava, per darmi quel soccorso che i miei apostoli mi
avevano
negato. Avevo delle pagane che ammiravano il "filosofo". Per loro ero
tale. Ma seppero scendere ad usi ebrei, le potenti romane, per dirmi,
nell'ora dell'abbandono di un mondo d'ingrati: "Noi ti siamo amiche".
Avevo
il volto coperto di
sputi e Sangue. Lacrime e sudore gocciavano sulle ferite. Lordure e
polvere me lo incrostavano. Di chi la mano che mi deterse? La tua? o la
tua? o la
tua? Nessuna delle vostre mani. Costui era presso alla Madre. Costui
riuniva le pecore sperse. Voi. E se sperse erano le mie pecore, come
potevano
darmi soccorso? Tu nascondevi il tuo volto per paura del disprezzo del
mondo, mentre il tuo Maestro veniva coperto del disprezzo di tutto il
mondo,
Lui che era innocente. Avevo sete. Sì. Sappi anche questo. Morivo di
sete. Non avevo più che febbre e dolore. Il Sangue era già corso nel
Getsemani, tratto dal dolore di essere tradito, abbandonato, rinnegato,
percosso, sommerso dalle colpe infinite e dal rigore di Dio. Ed era
corso nel
Pretorio... Chi mi volle dare una stilla per le fauci arse? Una mano
d'Israele? No. La pietà di un pagano. La stessa mano che, per decreto
eterno, mi
apri il petto per mostrare che il Cuore aveva già una ferita mortale, ed
era quella che il non amore, la viltà, il tradimento, vi avevano fatta.
Un
pagano. Vi ricordo: "Ebbi sete e mi desti da bere". Non uno che mi desse
un conforto in tutto Israele. O per impossibilità di farlo, come
la Madre
e le donne fedeli, o per mala volontà di farlo. E un pagano trovò per
lo
Sconosciuto la pietà che il mio popolo mi aveva negato. Troverà in Cielo
il sorso a Me dato. In verità vi dico che, se Io ho rifiutato ogni
conforto, perché quando si è Vittima non bisogna temperare la sorte, non
ho voluto respingere il pagano, nella cui offerta ho sentito il miele
di
tutto l'amore che dai pagani mi verrà dato a compenso dell'amarezza che
mi dette Israele. Non mi ha levato la sete. Ma lo sconforto, sì. Per
questo
ho preso quel sorso ignorato. Per attirare a Me colui che già verso il
Bene piegava. Sia benedetto dal Padre per la sua pietà!
Non
parlate più? Perché non
chiedete ancora il perché ho così agito? Non osate di chiederlo? Io ve
lo dirò. Tutto vi dirò dei perché di quest'ora. Chi siete voi? I miei
continuatori. Sì. Lo siete nonostante il vostro smarrimento. Che dovete fare?
Convertire il mondo a Cristo. Convertire! È la cosa più
delicata e difficile, amici miei. Gli sdegni, i ribrezzi, gli orgogli,
gli zeli
esagerati sono tutti deleteri alla riuscita. Ma, poiché nulla e nessuno
vi avrebbe persuaso alla bontà, alla condiscendenza, alla carità per
quelli
che sono nelle tenebre, è stato necessario comprendete? Necessario è
stato che voi aveste, una buona volta, frantumato il vostro orgoglio di
ebrei,
di maschi, di apostoli, per dare luogo solo alla vera sapienza del
ministero vostro.
Alla mitezza, pazienza,
pietà, amore senza borie e ribrezzi. Voi vedete che tutti vi hanno superato nel
credere e nell'agire, fra quelli che voi guardavate con sprezzo o con compatimento orgoglioso. Tutti.
E la peccatrice di un giorno. E
Lazzaro, intinto di cultura profana, il primo che in mio Nome ha
perdonato e guidato. E le donne pagane. E la debole moglie di Cusa.
Debole? Invero
ella tutti vi supera! Prima martire della mia fede. E i soldati di Roma.
E i pastori. E l'erodiano Mannaen. E persino Gamaliele, il rabbino. Non
sussultare, Giovanni. Credi tu che il mio Spirito fosse nelle tenebre?
Tutti. E questo perché domani, ricordando il vostro errore, non
chiudiate il
cuore a chi viene alla Croce. Ve lo dico. E già so che, nonostante lo
dica, non lo farete che quando la Forza del Signore vi piegherà come fuscelli al mio Volere, che è quello di avere dei cristiani di tutta
la Terra. Ho vinto la Morte.
Ma è meno dura del vecchio ebraismo. Ma vi piegherò.
Tu, Pietro, in luogo di stare piangente e avvilito, tu che devi essere la
Pietra della mia Chiesa, scolpisciti queste amare verità nel cuore. La mirra è usata per
preservare dalla corruzione. Impregnati di mirra, dunque. E quando vorrai chiudere il cuore e la
Chiesa ad uno d'altra fede, ricorda che non Israele,
non Israele, non Israele, ma Roma mi difese e volle avere pietà.
Ricordati che
non tu, ma una peccatrice seppe stare ai piedi della Croce e meritò di
vedermi per prima. E per non essere degno di biasimo sii imitatore del
tuo
Dio. Apri il cuore e la Chiesa
dicendo: "Io, il povero Pietro, non posso
sprezzare, perché se sprezzerò sarò sprezzato da Dio ed il mio errore
tornerà vivo agli occhi suoi". Guai se non ti avessi spezzato così!
Non un pastore ma un lupo saresti divenuto».
Gesù si alza. Maestosissimo.
«Figli miei. Ancora vi
parlerò nel tempo che fra voi resterò. Ma per intanto vi assolvo e perdono. Dopo la
prova che, se fu avvilente e crudele, è stata anche salutare e necessaria, venga in voi la pace del perdono.
E, con essa in cuore, tornate
i miei amici fedeli e forti. Il Padre mi ha mandato nel mondo. Io mando
voi nel mondo a continuare la mia evangelizzazione. Miserie di ogni
sorta
verranno a voi chiedendo sollievo. Siate buoni pensando alla miseria
vostra quando rimaneste senza il vostro Gesù. Siate illuminati. Nelle
tenebre
non è lecito vedere. Siate mondi per dare mondezza. Siate amore per
amare. Poi verrà Colui che è Luce, Purificazione e Amore. Ma intanto,
per
prepararvi a questo ministero, Io vi comunico lo Spirito Santo. A chi rimetterete i
peccati saranno rimessi. A chi li riterrete saranno ritenuti.
L'esperienza vostra vi faccia giusti per giudicare. Lo Spirito Santo vi
faccia santi per santificare. Il sincero volere di superare il vostro
mancamento vi faccia eroici per la vita che vi aspetta. Quanto ancora è
da dire
ve lo dirò quando l'assente sarà venuto. Pregate per lui. Rimanete con
la mia pace e senza orgasmo di dubbio sul mio
amore».
E
Gesù scompare così come
era entrato, lasciando fra Giovanni e Pietro un posto vuoto. Scompare in
un bagliore che fa chiudere gli occhi tanto è forte. E, quando gli
occhi
abbacinati si riaprono, trovano solo che la pace di Gesù è rimasta,
fiamma che brucia e che medica e che consuma le amarezze del passato in
un unico
desiderio: di servire.
Estratto da
"l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta
Nessun commento:
Posta un commento