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martedì 27 novembre 2012

Richiesta preghiere urgenti .

Carissimi,
vi chiedo preghiere urgenti per Nicholas, bambino di 4 anni, affetto da tumore alla testa. 
 
PER SOFIA CAROLINA DI 3 ANNI CHE IL 21 DICEMBRE SARA' OPERATA IN AMERICA DAL PROF. GEORGE PICETTI PER UNA GRAVISSIMA MALATTIA OSSEA.SOLO L'OPERAZIONE COSTA 160 MILA EURO. PREGATE ANCHE PER TUTTA LA SUA FAMIGLIA, PER LA MADRE MARTINA, PER IL PAPA' DAVIDE E PER I FRATELLI FEDERICO (18 ANNI) E ANDREA.
 
PREGATE POI PER UN'ALTRA FAMIGLIA: DOMENICA, CINZIA, PAOLA,PIETRO, NELLA, CARMELO. NON FREQUENTANO LA CHIESA E SONO FREQUENTATORI DI MAGHI.
 
UN ABBRACCIO E CHE DIO VI BENEDICA
 
PATRIZIA DI GROSSETO
 

Beata Vergine della Medaglia Miracolosa

Beata Vergine della Medaglia Miracolosa
27 novembre – Festa mariana

Tra tutte le memorie sacre di questa giornata, è particolarmente utile ricordare il dono fatto dalla Madonna all’umile Santa Caterina Labouré, il 27 novembre del 1830. Proprio in quella vigilia di Avvento, le apparve la Vergine, vestita di un abito di seta bianca, che teneva il mondo tra le mani, stringendolo all’altezza del Cuore. L’immagine era racchiusa in una cornice ovale, come se si delineasse il bozzetto di una Medaglia, contornata da una scritta in lettere d’oro:
“O Maria concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a Te”, invocazione allora inusuale.
Poi la cornice ruotò su se stessa e apparve la lettera M sormontata da una croce e, sotto, due Cuori: uno circondato dalla corona di spine, l’altro trafitto da una spada. La Vergine chiese alla giovane novizia di far coniare una Medaglia secondo la visione avuta e di diffonderla in tutto il mondo.
La ragazza avrebbe voluto poter trasmettere almeno la spiegazione dei due simboli, ma le fu detto soltanto: «La lettera M e i due Cuori dicono abbastanza!». Parigi era allora devastata da un’epidemia di colera. Dopo qualche resistenza, la Medaglia fu realizzata da un orafo di Parigi e furono tante le guarigioni e le Grazie di conversione che in pochissimi anni fu necessario coniarne milioni di copie.
Il quotidiano La France, nel 1835, già sosteneva che quel piccolo oggetto sacro era diventato «uno dei più grandi segni della Fede, degli ultimi tempi». E quando, nel 1854, Pio IX definirà il dogma dell’Immacolata Concezione, riconoscendo che «era una verità tenacemente custodita nel cuore dei fedeli», potrà fondarsi anche sul fatto che c’erano già almeno dieci milioni di cristiani che ne portavano sul cuore la Medaglia Miracolosa.
A Parigi, al numero civico 140 di Rue Du Bac, c’è un Santuario, nel quale si trova la Cappella della Medaglia Miracolosa: non è molto distante dal Louvre ed è comodamente raggiungibile mediante la metropolitana che ha una delle sue fermate proprio a Rue Du Bac.  
La Cappella della Medaglia Miracolosa attira ogni anno un milione di pellegrini, persone di ogni razza e colore, che vengono qui, nel cuore di Parigi, a cercare una risposta ai loro problemi esistenziali, a chiedere Grazie alla Madre che tutto sa e comprende e con cui ci si può sfogare come soltanto con una madre è possibile fare, nel più assoluto silenzio, in un clima di grande fervore e raccoglimento.
È il mistero di Rue du Bac, un mistero che nasce 182 anni fa, dalle apparizioni della Santa Vergine a una giovane novizia delle Figlie della Carità di SAn Vincenzo de’ Paoli, Caterina Labourè, a cui la Madonna affidò la realizzazione di una Medaglia chiamata “Miracolosa” che, da quasi due secoli ormai, ha conquistato con le sue innumerevoli Grazie e prodigi il mondo intero.
La stessa Caterina Labourè, così racconta la storia delle apparizioni: «Venuta la festa di San Vincenzo (19 luglio 1830) la buona Madre Marta (direttrice delle novizie) ci fece alla vigilia un'istruzione sulla devozione dovuta ai Santi e specialmente sulla devozione alla Madonna. Questo mi accese un gran desiderio di vedere la Santissima Vergine, che andai a letto col pensiero di vedere in quella stessa notte la mia buona Madre Celeste: era tanto tempo che desideravo vederla. Essendoci stato distribuito un pezzettino di tela di una cotta di San Vincenzo, ne tagliai una metà e l'inghiottii. Cosi mi addormentai col pensiero che San Vincenzo mi avrebbe ottenuto la Grazia di vedere la Madonna.
Alle undici e mezzo mi sento chiamare per nome: “Suor Labouré! Suor Labouré”. Svegliatami, guardo dalla parte donde veniva la voce, che era dal lato del passaggio del letto, tiro la cortina e vedo un Fanciullo vestito di bianco, dai quattro ai cinque anni, il quale mi dice: “Vieni in cappella; la Madonna ti aspetta”.
Il Fanciullo mi condusse nel presbiterio, dove io mi posi in ginocchio, mentre il Fanciullino rimase tutto il tempo in piedi. Parendomi il tempo troppo lungo, ogni tanto guardavo per timore che le suore vegliatrici passassero dalla tribuna. Finalmente giunse il sospirato momento. Il Fanciullino mi avverti, dicendomi: “Ecco la Madonna, eccola!”. Sentii un rumore come il fruscio di vesti di seta venire dalla parte della tribuna, presso il quadro di San Giuseppe, e vidi la Santissima Vergine che venne a posarsi sui gradini dell'altare dal lato del Vangelo.
Dire ciò che provai in quel momento e ciò che succedeva in me, mi sarebbe impossibile… Io, guardando la Santissima Vergine, spiccai allora un salto verso di Lei, ed inginocchiandomi sui gradini dell'altare, appoggiai le mani sulle ginocchia di Maria... Fu quello il momento più dolce della mia vita…
“Figlia mia -mi disse la Madonna- Dio vuole affidarti una missione. Avrai molto da soffrire, ma soffrirai volentieri, pensando che si tratta della gloria di Dio. Avrai la Grazia; dì tutto quanto in te succede, con semplicità e confidenza. Vedrai certe cose, sarai ispirata nelle tue orazioni, rendine conto a chi é incaricato dell'anima tua...”.
Quanto tempo restassi con la Madonna, non saprei dire: tutto quello che so è che, dopo di avermi lungamente parlato, se ne andò scomparendo come ombra che svanisce, dirigendosi verso la tribuna, per quella parte da cui era venuta. Tornata a letto, sentii suonare le due e non ripresi più il sonno».
Il 27 Novembre dello stesso anno, alle 17,30, Caterina ha una nuova visione durante la meditazione in cappella: vede come due quadri animati che le passano davanti in dissolvenza incrociata. Nel primo, la Santa Vergine è in piedi su una semisfera (il globo terrestre) e tiene tra le mani un piccolo globo dorato. I piedi di Maria schiacciano un serpente. Nel secondo, dalle sue mani aperte escono raggi di uno splendore abbagliante. Nello stesso tempo Caterina ode una voce, che dice: “Questi raggi sono il simbolo delle Grazie che Maria ottiene per gli uomini”.
Poi un ovale si forma attorno all’apparizione e Caterina vede scriversi in un semicerchio questa invocazione, prima sconosciuta, in lettere d’oro: “O Maria concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a Te”.
Subito dopo l’ovale della Medaglia si gira e Caterina ne vede il rovescio: in alto una Croce sormonta la M di Maria, in basso due Cuori, l’uno incoronato di spine, l’altro trapassato da una spada. Caterina ode allora queste parole: “Fai coniare una Medaglia, secondo questo modello. Coloro che la porteranno con Fede riceveranno grandi Grazie”.
Caterina riferisce al suo confessore, il Padre Aladel, la richiesta fatta dalla Madonna circa la Medaglia, ma il Sacerdote reagisce negativamente ed intima alla novizia di non pensare più a queste cose.
Qualche mese più tardi, pronunciati i voti, Suor Caterina Labourè viene inviata al ricovero di Enghien per curare gli anziani. La giovane suora si mette al lavoro, ma una voce interiore l’assilla continuamente: “Si deve far coniare la Medaglia”. Suor Caterina ne riparla al suo confessore.
Intanto nel febbraio del 1832 scoppia a Parigi una terribile epidemia di colera, che provocherà più di 20.000 morti. In giugno le Figlie della Carità cominciano a distribuire le prime 2.000 Medaglie, fatte coniare da Padre Aladel. Le guarigioni si moltiplicano, come le protezioni prodigiose e le conversioni spirituali. Il popolo di Parigi comincia a chiamare la Medaglia “Miracolosa”.
Nell’autunno 1834 c’erano già più di 500.000 Medaglie. Un anno dopo ne circolavano più di un milione. Nel 1839 la Medaglia veniva diffusa in più di dieci milioni di esemplari, e alla morte di Suor Caterina, nel 1876, si contavano più di un miliardo di Medaglie!

Maria Di Lorenzo

SUPPLICA ALLA MADONNA DELLA MEDAGLIA MIRACOLOSA


 
SUPPLICA ALLA MADONNA DELLA MEDAGLIA MIRACOLOSA
 
Da recitarsi alle 17 del 27 novembre, festa della Medaglia Miracolosa, in ogni 27 del mese e in ogni urgente necessità.
 
O Vergine Immacolata, noi sappiamo che sempre ed ovunque sei disposta ad esaudire le preghiere dei tuoi figli esuli in questa valle di pianto, ma sappiamo pure che vi sono giorni ed ore in cui ti compiaci di spargere più abbondantemente i tesori delle tue grazie. Ebbene, o Maria, eccoci qui prostrati davanti a te, proprio in quello stesso giorno ed ora benedetta, da te prescelta per la manifestazione della tua Medaglia.
Noi veniamo a te, ripieni di immensa gratitudine ed illimitata fiducia, in quest'ora a te sì cara, per ringraziarti del gran dono che ci hai fatto dandoci la tua immagine, affinché fosse per noi attestato d'affetto e pegno di protezione. Noi dunque ti promettiamo che, secondo il tuo desiderio, la santa Medaglia sarà il segno della tua presenza presso di noi, sarà il nostro libro su cui impareremo a conoscere, seguendo il tuo consiglio, quanto ci hai amato e ciò che noi dobbiamo fare, perché non siano inutili tanti sacrifici tuoi e del tuo divin Figlio. Sì, il tuo Cuore trafitto, rappresentato sulla Medaglia, poggerà sempre sul nostro e lo farà palpitare all'unisono col tuo. Lo accenderà d'amore per Gesù e lo fortificherà per portar ogni giorno la propria croce dietro a Lui. Questa è l'ora tua, o Maria, l'ora della tua bontà inesauribile, della tua misericordia trionfante, l'ora in cui facesti sgorgare per mezzo della tua Medaglia, quel torrente di grazie e di prodigi che inondò la terra. Fai, o Madre, che quest'ora, che ti ricorda la dolce commozione del tuo Cuore, la quale ti spinse a venirci a visitare e a portarci il rimedio di tanti mali, fai che quest'ora sia anche l'ora nostra: l'ora della nostra sincera conversione, e l'ora del pieno esaudimento dei nostri voti.
Tu che hai promesso, proprio in quest'ora fortunata, che grandi sarebbero state le grazie per chi le avesse domandate con fiducia: volgi benigna i tuoi sguardi alle nostre suppliche. Noi confessiamo di non meritare le tue grazie, ma a chi ricorreremo, o Maria, se non a te, che sei la Madre nostra, nelle cui mani Dio ha posto tutte le sue grazie? Abbi dunque pietà di noi.
Te lo domandiamo per la tua Immacolata Concezione e per l'amore che ti spinse a darci la tua preziosa Medaglia. O Consolatrice degli afflitti, che già ti inteneristi sulle nostre miserie, guarda ai mali da cui siamo oppressi. Fai che la tua Medaglia sparga su di noi e su tutti i nostri cari i tuoi raggi benefici: guarisca i nostri ammalati, dia la pace alle nostre famiglie, ci scampi da ogni pericolo. Porti la tua Medaglia conforto a chi soffre, consolazione a chi piange, luce e forza a tutti.
Ma specialmente permetti, o Maria, che in quest'ora solenne ti domandiamo la conversione dei peccatori, particolarmente di quelli, che sono a noi più cari. Ricordati che anch'essi sono tuoi figli, che per essi hai sofferto, pregato e pianto. Salvali, o Rifugio dei peccatori, affinché dopo di averti tutti amata, invocata e servita sulla terra, possiamo venirti a ringraziare e lodare eternamente in Cielo. Cosi sia.
Salve Regina 
 

 
Lisa

lunedì 26 novembre 2012

Vangelo di oggi .

Vangelo -




Lc 21,1-4
Vide una vedova povera, che gettava due monetine.







+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio.
Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».

Parola del Signore

domenica 25 novembre 2012

Vangelo di oggi .

Domenica 25 novembre 2012
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo
+ VANGELO (Gv 18,33-37)
Tu lo dici: io sono re.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Parola del Signore

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Nel mondo ci sono re e sudditi. Sono molti quelli che si considerano re per qualche privilegio, per un potere che esercitano spesso iniquamente, per una ricchezza che esaspera altezzosamente la loro vita. Sentirsi re è molto facile, è sufficiente alimentare l’amor proprio e diventare servi della superbia della vita. Ho già spiegato molte volte il significato di questa rovinosa concupiscenza, che significa intemperanza, bramosia, lussuria, avidità.
Chi ama il mondo e non ripone la sua speranza in Gesù, è schiavo della concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e l’ambizione della vita. Nella concupiscenza della carne è il piacere sensibile, nella concupiscenza degli occhi è la curiosità, nell’ambizione della vita è la superbia. Chi vive sotto questa schiavitù non pensa ad altro che ai piaceri immorali, carnali, volgari!
La superbia della vita è una delle tre concupiscenze, è l’ostentazione di una sicurezza morale falsa e menzognera, la pretesa vertiginosa di decidere da sé ciò che è bene e ciò che è male, misurando tutto l’ambito morale con il metro assoluto della propria coscienza, tanto certa quanto erronea perché svincolata dalla legge eterna naturale inscritta dal Creatore in ogni uomo”.
La superbia della vita è una condizione negativa e sempre opposta alla verità, la persona non si rende neanche conto di sentirsi re, migliore degli altri, fino al punto di disprezzare gli altri con gli sguardi di compatimento e le parole ipocrite. È davvero facile farsi re di se stesso, di un regno illusorio e di un riconoscimento inesistente, a causa dei peccati ripetuti e di un progressivo allontanamento dallo Spirito di Dio.
La ripetizione dei peccati mortali non confessati, porta l’anima ad una condizione davvero disgraziata e arrogante.
Considerando l’aspetto spirituale, i re sono quelli che non riconoscono Gesù come Signore e vivono agitati da progetti di grandezza, anche se non realizzabili. I sudditi invece riconoscono Gesù come loro Signore e trovano la pace dei sensi, anche se non subito ma con il tempo e con un impegno costante.
Non tutti i cristiani arrivano a comprendere la ovvia regalità che Gesù deve esercitare nelle loro anime, una regalità che è autentica quando si cerca di adempiere la sua volontà, quando le scelte di vita sono conformi al suo Vangelo.
Oggi celebriamo la 34ª domenica del Tempo Ordinario, è l’ultima domenica dell'anno liturgico, una Solennità di Cristo Re dell'universo che già ritroviamo nell’Epifania, nella Pasqua e nell’Ascensione, ma oggi la Chiesa vuole mostrare il titolo che merita Gesù, quello che tutti i potenti della terra di tutti i tempi neanche sognano. Come si spiega allora questo potere violento che esercitano i diavoli nel mondo? Gesù lo ha spiegato con la famosissima parabola che inizia così: “Ecco, il seminatore uscì a seminare…”. Il punto che voglio focalizzare è alla fine della parabola, quando in disparte gli Apostoli chiedono la spiegazione.
«Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo”. E i servi gli dissero: “Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”» (Mt 13,25-30).
In questi tempi satana spadroneggia nel mondo, è il suo momento, Dio però interverrà per liberare l’umanità dalla schiavitù.
Vedete come oggi il Vangelo presenta Gesù? Nell’aspetto più ignominioso della sua vita, nell’umiliazione infinita davanti a personaggi degni di ben altra condizione. Ecco quello che il Signore ci dice in questa Solennità: non è il potere umano a farci grandi davanti a Lui, è la nostra adesione alla sua volontà a trasfigurarci e renderci creature divinizzate.
Non possiamo esaltarci di nulla ma solo pentirci dei peccati commessi, quanto abbiamo fatto di buono è tutta Grazia di Dio. Sicuramente dobbiamo partecipare con la nostra vita impegnata ed autentica, e solo se osserviamo la sua Parola i nostri meriti sono grandi davanti a Dio. Qui sta il bivio che bisogna scegliere ogni giorno, sono moltissime le circostanze nella giornata che necessitano di scelte delicate.
Vediamo che la regalità di Gesù è una regalità di servizio, è una infinita donazione di sé all’umanità, il suo Regno è compenetrato nell'amore e non nel potere, nella verità e non nella menzogna, è Spirito di bontà e non di odio, esercita la vera giustizia e non la cattiveria e l'egoismo malvagio che è presente nel mondo corrotto.
Gesù è il Re che vincerà sempre e infallibilmente tutto ciò che si oppone alla Verità e alla Giustizia, è Lui la nostra unica speranza.
Cristo solo è il Re dell'universo, ma il suo è "un regno di giustizia, di amore e di pace". Non seguiamo un Re sconfitto, Egli trionferà.
È un Re assolutamente unico e ontologicamente diverso dai re dispotici, falsi e oppressori che la storia ha mostrato. Gesù ha donato la sua Vita per i suoi sudditi, nessun re ha mai fatto questo, al contrario quelli che esercitano il potere umano conducono i sudditi all’esasperazione. I potenti del mondo, quanti esercitano il potere temporale dovrebbero guardare l’unico Re dell’universo e imitare la sua bontà e la piena donazione ai suoi sudditi.
Invece, sono proprio i potenti e i piccoli re del mondo a schierarsi contro il vero Re che li ha creati dal nulla e nel nulla li rimanderà.
Il dialogo tra Gesù e Pilato ci mostra la realtà del Regno di Gesù: Il mio regno non è di questo mondo?”. Gesù non è un re terreno che cerca di appropriarsi di territori, è assolutamente l’opposto, Egli cerca solo i cuori in cui dimorare da Re. Le leggi di Gesù sono completamente opposte alle finalità umane, sono regole improntate sull’amore, sul perdono, sulla verità. In nessun modo si fa ricorso alla forza o alle armi, non c’è una lotta per conquistare beni materiali ma la vita eterna. Questa sì che è una lotta ma contro se stessi.
Nei regni umani si trovano il male e la sete di potere, le tragedie e le guerre per impadronirsi per qualche anno di ciò che presto lasceranno.
L’uomo che persegue qualsiasi forma di potere umano, è sottoposto ad una forma di ambiguità e di ipocrisia nociva per l’anima e che sempre più offusca l’intelletto. I veri seguaci di Gesù sono testimoni e non dominatori, soprattutto quelli che vengono chiamati uomini di Chiesa devono esercitare non un potere ma un servizio umile e sempre più amorevole. Nessuno è padrone delle cose della Chiesa, solo Gesù è il Re, tutti gli altri siamo servitori.
Chi si trasforma in padrone sostituendosi a Gesù, non attrae le anime e non le orienta verso la Verità, lo scandalo che dà è grave e allontana tutti dalla vera spiritualità cristiana. Se non si ferma e non trova il coraggio di verificare la sua coscienza, cadrà nella trappola del dispotismo e di Dio non ci sarà più traccia.
Il carrierismo che oggi la fa da padrone in molti cuori, includono compromessi pericolosi e pienamente devianti dal Vangelo. Sarà difficile per quanti tradiscono Gesù e si sostituiscono a Lui, ritornare a considerarsi sudditi, nel senso benevolo del termine.
La formazione delle coscienze è l’aspetto principale che si deve perseguire quando si segue Gesù, altrimenti si griderà il suo Nome ma ci sarà solo auto glorificazione.
Per noi cristiani Gesù è il Re che ci rasserena anche nei momenti più difficili, ci dona una grande speranza anche nel suo silenzio, ci trasmette la sua forza per sostenere con gioia le fatiche della vita, ci ricolma del suo Divino Spirito per superare le difficoltà che incontriamo e che spesso sembrano insormontabili. Insieme a Gesù nulla ci mette paura, Egli è sempre vicino a noi ed interviene quando è il momento opportuno.
Noi dobbiamo invocarlo spesso nella giornata e avere piena fiducia nel suo Amore e nella sua continua vicinanza.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.

Per superare le prove dolorose, non soccombere dinanzi gli attacchi dei nemici e ricevere Grazie particolari, anche miracoli impossibili, vi consiglio di recitare ogni giorno la preghiera efficace, già utilizzata da decine di migliaia di fedeli. Sono migliaia le testimonianze di guarigioni e di liberazioni da attacchi malefici, moltissimi hanno superato prove difficili e ottenuto Grazie. Recitatela ogni giorno, è un potentissimo atto di Consacrazione alla Madonna. Potete stamparla dal mio sito:

Continuiamo a recitare ogni giorno il Santo Rosario alle ore 16 e alle ore 21 in comunione di preghiera, già siamo moltissimi a partecipare a questa cordata spirituale. Possiamo pregare in comunione di amore nelle stesse ore, recitando il Santo Rosario ogni giorno secondo le intenzioni della Madonna. Ognuno decide se partecipare alle due Corone oppure a una delle due. L’importante è recitare almeno una Corona al giorno in comunione con Gesù, la Madonna e tra noi. Vi assicuro che le benedizioni saranno abbondanti e chi cerca Grazie le potrà ottenere con maggiore facilità, perché pregando insieme, la preghiera diventa potente.

Messaggio della Madonna a Medjugorje del 2 maggio 2012 (Mirjana)

Messaggio della Madonna a Medjugorje del 20 febbraio 1985 (Messaggio dato al gruppo di preghiera)
Decidete fermamente che cosa fare di particolare per questa Quaresima. Io vorrei darvi un’idea. Durante questo tempo cercate di vincere ogni giorno un difetto evitando una delle vostre debolezze e mancanze più frequenti, quali l’irascibilità, l’impazienza, la pigrizia, il pettegolezzo, la disubbidienza, il rifiuto delle persone antipatiche. Se non riuscite a sopportare una persona orgogliosa, dovete voi cercare di avvicinarvi a lei. Se volete che diventi umile, fate voi il primo passo verso di lei. Mostratele che l’umiltà vale più dell’orgoglio. Dunque ogni giorno meditate su voi stessi e cercate nel vostro cuore ciò che c’è da cambiare, le debolezze da superare, i vizi da eliminare. Desidero inoltre che ognuno di voi scelga un altro membro del gruppo e insieme decidiate di vivere spiritualmente uniti per tutta la Quaresima. Accordatevi su che cosa fare insieme per cercare di eliminare i vostri difetti. Dovete impegnarvi e sforzarvi al massimo. Dovete desiderare sinceramente che questa Quaresima trascorra nell’amore. Così sarete più vicini a me e al Padre celeste. Sarete più felici voi e saranno più felici anche gli uomini attorno a voi. Come Madre vi invito ad essere coscienti di tutto quello che fate.

Messaggio della Madonna a Medjugorje del 26 novembre 1983 (Messaggio straordinario)
Prima della Messa bisogna pregare lo Spirito Santo. Le preghiere allo Spirito Santo devono sempre accompagnare la Messa.

Messaggio della Madonna a Medjugorje del 2 agosto 1984 (Messaggio dato al gruppo di preghiera)
Prima di accostarvi al Sacramento della Confessione preparatevi consacrandovi al mio Cuore e al Cuore di mio Figlio e invocate la Spirito Santo perché vi illumini.




[SUBSCRIPTIONS]

Festa di Cristo Re

 
 
 
 
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
Questa festa fu introdotta da papa Pio XI, con l’enciclica Quas Primas dell'11 dicembre 1925, con l'intento di proclamare la fede, la presenza, l'adesione e la testimonianza a Cristo in una società pervasa dal laicismo e dai suoi errori. Questa festa coincide con l'ultima domenica dell'anno liturgico, per indicare che Cristo Redentore è Signore della storia e del tempo, a cui tutti gli uomini e le altre creature sono soggetti. Egli è l'Alfa e l'Omèga, il principio e la fine, come dice l'Apocalisse. Gesù stesso davanti a Pilato ha affermato con chiarezza la sua regalità. Alla domanda di Pilato: Allora tu sei re? Gesù rispose:

“Tu lo dici, io sono re” (Gv.18,37) .
(Liturgia della solennità di Cristo Re)
PRIMA LETTURA (Dn 7,13-14)
Il suo potere è un potere eterno.
Dal libro del profeta Daniele

Guardando nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d’uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:
il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai,
e il suo regno non sarà mai distrutto.

Parola di Dio

SALMO RESPONSORIALE (Sal 92)
Rit: Il Signore regna, si riveste di splendore.
Il Signore regna, si riveste di maestà:
si riveste il Signore, si cinge di forza.

È stabile il mondo, non potrà vacillare.
Stabile è il tuo trono da sempre,
dall’eternità tu sei.

Davvero degni di fede i tuoi insegnamenti!
La santità si addice alla tua casa
per la durata dei giorni, Signore.

SECONDA LETTURA (Ap 1,5-8)
Il sovrano dei re della terra ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio.
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo

Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.
A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà,
anche quelli che lo trafissero,
e per lui tutte le tribù della terra
si batteranno il petto.
Sì, Amen!
Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!

Parola di Dio

Canto al Vangelo (Mc 11,9.10)
Alleluia, alleluia.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
Alleluia.

VANGELO (Gv 18,33-37)
Tu lo dici: io sono re.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Ecco in nostro "RE", la cui corona è piena di spine che penetrano nella carne e il cui trono è la "Croce".

Il Regno di cui parla Gesù nel Vangelo non è di questo mondo; non ha la sua provenienza nel mondo degli uomini, ma in Dio solo; Cristo ha in mente un regno costruito, non con la forza ma nella Verità e nell'Amore. Gli uomini vi entrano, preparandosi con la penitenza, per la fede e per il battesimo, il quale produce un'autentica rigenerazione interiore.

Questo Re richiede "non solo l'animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce" (Pio XI).
Tale Regno, peraltro, già mistericamente presente, troverà pieno compimento alla fine dei tempi, alla seconda venuta di Cristo, quando, quale Sommo Giudice e Re, verrà a giudicare i vivi ed i morti, separando, come il pastore, "le pecore dai capri".


Gesù ci viene presentato come Signore e Re dell’universo. Il suo trono è la croce. Là le sue braccia sono spalancate nell’atto di abbracciare la storia e il cosmo. Il suo abbraccio si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi. La sua regalità che è fatta non di dominio, ma di servizio. Regalità che non impone pesi, ma che porta liberazione. Che non usa la forza per soggiogare l’uomo, ma che rivela l’amore infinito di Dio.

Ecco il nostro Re: Gesù instaura il suo dominio facendosi servo obbediente, fino alla morte di croce. Egli è il Messia-Re che si inginocchia ai piedi dell’uomo per amarlo «sino alla fine», sino all’estremo gesto del dono della vita. E’ evidente che nella comunità dei credenti si potrà imparare il senso profondo di ogni responsabilità in favore degli altri solo sottomettendosi tra gli ultimi della fila, scegliendo il posto più scomodo, facendosi «tutto a tutti».
 
Venga il tuo regno: il Regno instaurato dal Cristo è regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace. La sorte di Gesù e quella dei martiri della fede ci attesta che non si può lottare in favore del Regno di Dio imponendo la propria logica con il dominio sull’altro, ma scegliendo unicamente la via del dono di sé.
Preghiamo

Oggi, o Cristo Re, affermiamo nella verità della fede che tutta la storia umana avrà come suo compimento te stesso.
Ti riconosciamo nostro Re, perché sei la verità del Padre, e con te si impara che vivere è lottare, amare, morire.
Chi regna sulla nostra esistenza? Il lavoro? La stima? Il potere? Il successo? Tu sei Re pronto a salire sul trono ed essere incoronato.
La croce è il tuo trono; una corona di spine la tua corona; il tuo Regno non è di questo mondo.
Il tuo Regno non è solo ciò che ci aspetta dopo, ma è anche ciò che c’è dentro di noi, nella capacità di diventare migliori di ciò che siamo.
Il tuo Regno è regno di verità e genera gioia e speranza; il nostro regno, invece, è di infedeltà, egoismo e meschinità che generano paura, ingiustizia, morte.
La tua regalità è regalità d’amore.
Rendi partecipi, o Cristo Re, anche noi del tuo Regno che è giustizia, pace, amore.
 

sabato 24 novembre 2012

Vangelo di oggi .

   

Vangelo

   

Lc 20,27-40
Dio non è dei morti, ma dei viventi.

   


   

   

+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.

Parola del Signore

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Domenica 25 novembre 2012 - Solennità

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 18,33-37
Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?».
Gesù rispose: «Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?». Pilato rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Corrispondenza nell’"Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta
Volume 10 Capitolo 604 pagina 40

Gesù entra nel Pretorio in mezzo ai dieci soldati, che fanno un quadrato di alabarde intorno alla sua persona. I due centurioni vanno avanti. Mentre Gesù sosta in un largo atrio, oltre il quale è un cortile che si intravede dietro una tenda che il vento sommuove, essi scompaiono dietro una porta. Rientrano col Governatore, vestito di una toga bianchissima sulla quale però è un manto scarlatto. Forse così erano quando rappresentavano ufficialmente Roma. Entra indolentemente, con un sorrisetto scettico sul volto sbarbato, stropiccia fra le mani delle fronde di erba cedrina e le fiuta con voluttà. Va ad una meridiana, si rivolge dopo averla guardata. Getta dei grani d’incenso nel braciere posto ai piedi di un nume. Si fa portare acqua cedrata e si gargarizza la gola. Si rimira la pettinatura tutta a onde in uno specchio di metallo tersissimo. Pare che abbia dimenticato il Condannato che aspetta la sua approvazione per essere ucciso. Farebbe venire l’ira anche alle pietre.
Gli ebrei, posto che l’atrio è tutto aperto sul davanti e sopraelevato di tre alti scalini anche sul vestibolo, che si apre sulla via già sopraelevato di altri tre sulla via stessa, vedono tutto benissimo e fremono. Ma non osano ribellarsi per paura delle aste e dei giavellotti.
Finalmente, dopo avere girato e rigirato per l’ampio luogo, Pilato va diritto incontro a Gesù, lo guarda a chiede ai due centurioni:
«Questo?».
«Questo».
«Vengano i suoi accusatori», a va a sedersi sulla sedia posta sulla predella.
Sul suo capo le insegne di Roma si incrociano con le loro aquile dorate e la loro sigla potente.
«Non possono venire. Si contaminano».
«Euè!!! Meglio. Eviteremo fiumi d’essenze per levare il caprino al luogo. Fateli avvicinare, almeno. Qui sotto. E badate non entrino, posto che non vogliono farlo. Può essere un pretesto, quest’uomo, per una sedizione».
Un soldato parte per portare l’ordine del Procuratore romano. Gli altri si schierano sul davanti dell’atrio a distanze regolari, belli come nove statue di eroi.
Vengono avanti i capi dei sacerdoti, scribi e anziani, e salutano con servili inchini e si fermano sulla piazzetta che è al davanti del Pretorio, oltre i tre gradini del vestibolo.
«Parlate e siate brevi. Già in colpa siete per avere turbato la notte e ottenuto l’apertura delle porte con violenza. Ma verificherò. E mandanti e mandatari risponderanno della disubbidienza al decreto».
Pilato è andato verso di loro, rimanendo nel vestibolo.
«Noi veniamo a sottoporre a Roma, di cui tu rappresenti il divino Imperatore, il nostro giudizio su Costui».
«Quale accusa portate contro di Lui? Mi sembra un innocuo...».
«Se non fosse malfattore non te Lo avremmo portato». E nella smania di accusare si fanno avanti.
«Respingete questa plebe! Sei passi oltre i tre scalini della piazza. Le due centurie all’armi!».
I soldati ubbidiscono veloci, allineandosi cento sul gradino esterno più alto, con le spalle volte al vestibolo, e cento sulla piazzetta su cui si apre il portone d’ingresso alla dimora di Pilato. Ho detto portone: dovrei dire androne o arco trionfale, perché è una vastissima apertura limitata da un cancello, ora spalancato, che immette nell’atrio per il lungo corridoio del vestibolo largo almeno sei metri, di modo che ben si vede ciò che avviene nell’atrio sopraelevato. Oltre l’ampio vestibolo si vedono le facce bestiali dei giudei guardare minacciose e sataniche verso l’interno, guardare dall’al di là della barriera armata che, gomito a gomito, come per una parata, presenta duecento punte ai conigli assassini.
«Quale accusa portate verso Costui, ripeto».
«Ha commesso delitto contro la Legge dei padri».
«E venite a seccare me per questo? Pigliatelo voi e giudicatelo secondo le vostre leggi».
«Noi non possiamo dar morte ad alcuno. Dotti non siamo. Il Diritto ebraico è un pargolo deficiente rispetto al perfetto Diritto di Roma. Come ignoranti e come soggetti di Roma, maestra, abbiamo bisogno...».
«Da quando siete miele e burro?... Ma avete detto una verità, o maestri del mendacio! Di Roma avete bisogno! Sì. Per sbarazzarvi di Costui che vi dà noia. Ho compreso».
E Pilato ride, guardando il cielo sereno che si inquadra come una rettangolare lastra di cupa turchese fra le marmoree e candide pareti dell’atrio.
«Dite: in che ha commesso delitto contro le vostre leggi?».
«Noi abbiamo trovato che Costui metteva il disordine nella nostra nazione e che impediva di pagare il tributo a Cesare, dicendosi il Cristo, re dei giudei».
Pilato ritorna presso Gesù, che è al centro dell’atrio, lasciato là dai soldati, legato ma senza scorta tanto appare netta la sua mansuetudine. E gli chiede:
«Sei Tu il re dei giudei?».
«Per te lo chiedi o per insinuazione d’altri?».
«E che vuoi che me ne importi del tuo regno? Son forse io giudeo? La tua nazione e i capi di essa mi Ti hanno consegnato perché io giudichi. Che hai fatto? Ti so leale. Parla. È vero che aspiri al regno?».
«Il mio Regno non viene da questo mondo. Se fosse un regno del mondo, i miei ministri e i miei soldati avrebbero combattuto perché i giudei non mi pigliassero. Ma il mio Regno non è della terra. E tu lo sai che al potere Io non tendo».
«Ciò è vero. Lo so. Mi fu detto. Ma però Tu non neghi d’essere re?».
«Tu lo dici. Io sono Re. Per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla Verità. Chi è amico della Verità ascolta la mia voce».
«E che cosa è la Verità? Sei filosofo? Non serve di fronte alla morte. Socrate morì lo stesso».
«Ma gli servì di fronte alla vita, a ben vivere. E anche a ben morire. E ad andare nella vita seconda senza nome di traditore delle civiche virtù».
«Per Giove!».
Pilato lo guarda ammirato qualche momento. Poi lo riprende il sarcasmo scettico. Fa un atto di noia, gli volge le spalle, torna verso i giudei.
«Io non trovo in Lui alcuna colpa».
La folla tumultua, presa dal panico di perdere la preda e lo spettacolo del supplizio. E urla:
È un ribelle!», «Un bestemmiatore», «Incoraggia il libertinaggio», «Eccita alla ribellione», «Nega rispetto a Cesare», «Si finge profeta senza esserlo», «Compie magie», «È un satana», «Solleva il popolo con le sue dottrine insegnando in tutta la Giudea, alla quale è venuto dalla Galilea insegnando», «A morte!», «A morte!». «Galileo è? Galileo sei?».
Pilato torna da Gesù: «Lo senti come ti accusano? Discolpati».
Ma Gesù tace.
Pilato pensa... E decide.
«Una centuria, e da Erode Costui. Lo giudichi. È suo suddito. Riconosco il diritto del Tetrarca e al suo verdetto sottoscrivo in anticipo. Gli sia detto. Andate».
E Gesù, inquadrato come un manigoldo da cento soldati, riattraversa la città e torna ad incontrare Giuda Iscariota, che già aveva incontrato una volta presso un mercato. Prima mi ero dimenticata di dirlo, presa dal disgusto della zuffa popolana. Lo stesso sguardo di pietà sul traditore...
Ora è più difficile colpirlo con calci e bastoni, ma le pietre e le immondezze non mancano e, se i sassi cadono sonando senza ferire sugli elmi e le corazze romane, ben lasciano un segno colpendo Gesù, che procede col solo vestito, avendo lasciato il mantello nel Getsemani. Nell’entrare nel fastoso palazzo di Erode, Egli vede Cusa... che non sa guardarlo e che fugge per non vederlo in quello stato, coprendosi il capo col mantello.
Eccolo nella sala, davanti a Erode. E, dietro Lui, ecco gli scribi e i farisei, che qui si sentono a loro agio, entrare da accusatori mendaci. Solo il centurione con quattro militi lo scortano davanti al Tetrarca. Questo scende dal suo seggio e gira intorno a Gesù, mentre ascolta le accuse dei nemici suoi. E sorride e beffeggia. Poi finge una pietà e un rispetto che non turbano il Martire come non Lo hanno turbato i motteggi.
«Sei grande. Lo so. Ti ho seguito e ho avuto giubilo che Cusa ti fosse amico e Manaem discepolo. Io... le cure di Stato... Ma che desiderio di dirti: grande... di chiederti perdono... L’occhio di Giovanni... la sua voce mi accusano e sempre davanti a me sono. Tu sei il Santo che annulla i peccati del mondo. Assolvimi, o Cristo».
Gesù tace.
«Ho sentito che Ti accusano di esserti drizzato contro Roma. Ma non sei Tu la verga promessa per percuotere Assur?».
Gesù tace.
«Mi hanno detto che Tu profetizzi la fine del Tempio e di Gerusalemme. Ma non è eterno il Tempio come spirito, essendo voluto da Chi eterno è?».
Gesù tace.
«Sei folle? Hai perduto il potere? Satana ti inceppa la parola? Ti ha abbandonato?». Erode ride, ora.
Ma poi dà un ordine. E dei servi accorrono portando un levriero dalla gamba spezzata, che guaisce lamentosamente, e uno stalliere ebete dalla testa acquosa, sbavante, un aborto d’uomo, trastullo dei servi. Gli scribi e i sacerdoti fuggono urlando al sacrilegio, quando vedono la barella del cane. Erode, falso e beffardo, spiega:
«È il preferito di Erodiade. Dono di Roma. Si è spezzato ieri una zampa ed ella piange. Comanda che guarisca. Fa un miracolo».
Gesù lo guarda severo. E tace.
«Ti ho offeso? Allora questo. È un uomo, benché di poco sia più che una belva. Dagli l’intelligenza, Tu, Intelligenza del Padre... Non dici così?».
E ride, offensivo. Altro più severo sguardo di Gesù e silenzio.
«Quest’Uomo è troppo astinente e ora è intontito dagli spregi. Vino e donne, qui. E sia slegato».
Lo slegano. E mentre servi, in gran numero, portano anfore e coppe, entrano danzatrici... coperte di niente: una frangia multicolore di lino cinge per unica veste la loro sottile persona, dalla cintura alle anche. Null’altro. Bronzee perché africane, snelle come gazzelle giovinette, iniziano una danza silenziosa e lasciva.
Gesù respinge le coppe e chiude gli occhi senza parlare. La corte di Erode ride davanti al suo sdegno.
«Prendi quella che vuoi. Vivi! Impara a vivere!...», insinua Erode.
Gesù pare una statua. A braccia conserte, occhi serrati, non si scuote neppure quando le impudiche danzatrici Lo sfiorano coi loro corpi nudi.
«Basta. Ti ho trattato da Dio e non hai agito da Dio. Ti ho trattato da uomo e non hai agito da uomo. Sei folle. Una veste bianca. Rivestitelo di essa perché Ponzio Pilato sappia che il Tetrarca ha giudicato folle il suo suddito. Centurione, dirai al Proconsole che Erode gli umilia il suo rispetto e venera Roma. Andate».
E Gesù, legato di nuovo, esce, con una tunica di lino, che gli giunge al ginocchio, sopra la rossa veste di lana. E tornano da Pilato.
Ora, quando la centuria fende a fatica la folla, che non si è stancata di attendere davanti al palazzo proconsolare ‑ed è strano vedere tanta folla in quel luogo e nelle vicinanze, mentre il resto della città appare vuoto di popolo‑ Gesù vede in gruppo i pastori, e sono al completo, ossia Isacco, Gionata, Levi, Giuseppe, Elia, Mattia, Giovanni, Simeone, Beniamino e Daniele, insieme ad un gruppetto di galilei di cui riconosco Alfeo e Giuseppe di Alfeo, insieme a due altri che non conosco ma che direi giudei dalla acconciatura. E più oltre, scivolato fin dentro al vestibolo, seminascosto dietro una colonna, insieme ad un romano che direi un servo, vede Giovanni. Sorride a questo e a quelli... I suoi amici... Ma che sono questi pochi, a Giovanna e Manaem e Cusa, in mezzo ad un oceano di odio che bolle?...
Il centurione saluta Ponzio Pilato e riferisce.
«Qui ancora?! Auf! Maledetta questa razza! Fate avanzare la plebaglia e portate qui l’Accusato. Euè! che noia!».
Va verso la folla, sempre fermandosi a metà vestibolo.
«Ebrei, udite. Mi avete condotto quest’Uomo come sobillatore del popolo. Davanti a voi L’ho esaminato e non ho trovato in Lui nessuno dei delitti di cui Lo accusate. Erode non più di me ha trovato. E a noi Lo ha rimandato. Non merita la morte. Roma ha parlato. Però, per non dispiacervi levandovi il sollazzo, vi darò in cambio Barabba. E Lui lo farò colpire con quaranta colpi di fustigazione. Basta così».
«No, no! Non Barabba! Non Barabba! A Gesù la morte! E morte orrenda! Libera Barabba e condanna il Nazzareno».
«Ma udite! Ho detto fustigazione. Non basta? Lo farò flagellare, allora! È atroce, sapete? Può morire per essa. Che ha fatto di male? Io non trovo nessuna colpa in Lui. E lo libererò».
«Crocifiggi! Crocifiggi! A morte! Protettore dei delinquenti sei! Pagano! Satana tu pure!».
La folla si fa sotto e la prima schiera di soldati ondeggia nell’urto, non potendo usare le aste. Ma la seconda fila, scendendo d’un gradino, rotea le aste e libera i compagni.
«Sia flagellato», ordina Pilato a un centurione.
«Quanto?».
«Quanto ti pare... Tanto è affare finito. E io sono annoiato. Va’».
Gesù viene tradotto da quattro soldati nel cortile oltre l’atrio. In esso, tutto selciato di marmi colorati, è al centro un’alta colonna simile a quella del porticato. A un tre metri dal suolo essa ha un braccio di ferro sporgente per almeno un metro e terminante in anello. A questa viene legato Gesù con le mani congiunte sull’alto del capo, dopo che fu fatto spogliare. Egli resta unicamente con delle piccole brache di lino e i sandali. Le mani legate ai polsi vengono alzate sino all’anello, di modo che Egli, per quanto sia alto, non poggia al suolo che la punta dei piedi... E deve essere tortura anche questa posizione. Ho letto non so dove che la colonna era bassa e Gesù stava curvo. Sarà. Io vedo così e così dico.
Dietro a Lui si colloca uno dalla faccia di boia, dal netto profilo ebraico; davanti a Lui, un altro dalla faccia uguale. Sono armati del flagello, fatto di sette strisce di cuoio legate ad un manico a terminanti in un martelletto di piombo. Ritmicamente, come per un esercizio, si danno a colpire. Uno davanti, l’altro di dietro, di modo che il tronco di Gesù è in una ruota di sferze e di flagelli.
I quattro soldati a cui è consegnato, indifferenti, si sono messi a giocare a dadi con altri tre soldati sopraggiunti. E le voci dei giocatori si cadenzano sul suono dei flagelli, che fischiano come serpi e poi suonano come sassi gettati sulla pelle tesa di un tamburo, percuotendo il povero corpo così snello e di un bianco d’avorio vecchio, e che diviene prima zebrato di un rosa sempre più vivo, poi viola, poi si orna di rilievi d’indaco gonfi di sangue, e poi si crepa e rompe lasciando colare sangue da ogni parte. E infieriscono specie sul torace e l’addome, ma non mancano i colpi dati alle gambe e alle braccia e fin sul capo, perché non vi fosse brano di pelle senza dolore.
E non un lamento... Se non fosse sostenuto dalla fune, cadrebbe. Ma non cade e non geme. Solo la testa gli pende, dopo colpi e colpi ricevuti, sul petto, come per svenimento.
«Ohé! Fermati! Deve essere ucciso da vivo», urla e motteggia un soldato.
I due boia si fermano e si asciugano il sudore.
«Siamo sfiniti», dicono. «Dateci la paga, che si possa bere per ristorarsi...».
«La forca vi darei! Ma prendete...», e un decurione getta una larga moneta ad ognuno dei due boia.
«Avete lavorato a dovere. Pare un mosaico. Tito, dici che era proprio questo l’amore di Alessandro? Allora gliene daremo notizia perché faccia il lutto. Sleghiamolo un poco».
Lo slegano e Gesù si accascia al suolo come morto. Lo lasciano là, urtandolo ogni tanto col piede calzato dalle calighe per vedere se geme. Ma Egli tace.
«Che sia morto? Possibile? È giovane e artiere, mi hanno detto... e pare una dama delicata».
«Ora ci penso io», dice un soldato. E Lo mette seduto con la schiena alla colonna. Dove Egli era, sono grumi di sangue... Poi va ad una fontanella che chioccola sotto al portico, empie un mastello d’acqua e la rovescia sul capo e sul corpo di Gesù.
«Così! Ai fiori fa bene l’acqua».
Gesù sospira profondamente e fa per alzarsi, ma ancora sta ad occhi chiusi.
«Oh! bene. Su, bellino! Che ti aspetta la dama!...».
Ma Gesù inutilmente punta al suolo i pugni nel tentativo di drizzarsi.
«Su! Svelto! Sei debole? Ecco il ristoro», ghigna un altro soldato. E con l’asta della sua alabarda mena una bastonata al viso e coglie Gesù fra lo zigomo destro e il naso, che si mette a sanguinare.
Gesù apre gli occhi, li gira. Uno sguardo velato... Fissa il soldato percuotitore, si asciuga il sangue con la mano, e poi, con molto sforzo, si pone in piedi.
«Vestiti. Non è decenza stare così. Impudico!».
Ridono tutti in cerchio intorno a Lui. Egli ubbidisce senza parlare. Ma mentre si china ‑e solo Lui sa quello che soffre nel piegarsi al suolo, così contuso come è, e con le piaghe che nel tendersi della pelle si aprono più ancora, e altre che se ne formano per vesciche che si rompono- un soldato dà un calcio alle vesti e le sparpaglia e, ogni volta che Gesù le raggiunge andando barcollante dove esse cadono, un soldato le spinge o le getta in altra direzione. E Gesù, soffrendo acutamente, le insegue senza una parola, mentre i soldati Lo deridono oscenamente.
Può finalmente rivestirsi. E rimette anche la veste bianca, rimasta pulita in un angolo. Pare voglia nascondere la sua povera veste rossa, solo ieri tanto bella ed ora lurida di immondizie e macchiata del sangue sudato nel Getsemani. Anzi, prima di mettersi la tunichella corta sulla pelle, con essa si asciuga il volto bagnato e lo deterge così da polvere e sputi. Ed esso, il povero, santo volto, appare pulito, solo segnato da lividi e piccole ferite. E si ravvia i capelli caduti scomposti e la barba per un innato bisogno di essere ordinato nella persona.
E poi si accoccola al sole. Perché trema, il mio Gesù... La febbre comincia a serpeggiare in Lui con i suoi brividi. E anche la debolezza del sangue perduto, del digiuno, del molto cammino, si fa sentire.
Gli legano di nuovo le mani. E la corda torna a segare là dove è già un rosso braccialetto di pelle scorticata.
«E ora? Che ne facciamo? Io mi annoio!».
«Aspetta. I giudei vogliono un re. Ora glielo diamo. Quello lì...», dice un soldato.
E corre fuori, in un retrostante cortile certo, dal quale torna con un fascio di rami di biancospino selvatico, ancora flessibili perché la primavera tiene relativamente morbidi i rami, ma ben duri nelle spine lunghe e acuminate. Con la daga levano foglie e fioretti, piegano a cerchio i rami e li calcano sul povero capo. Ma la barbara corona ricade sul collo.
«Non ci sta. Più stretta. Levala».
La levano e sgraffiano le guance, risicando di accecarlo, e strappano i capelli nel farlo. La stringono. Ora è troppo stretta e, per quanto la pigino conficcando gli aculei nel capo, essa minaccia di cadere. Via di nuovo strappando altri capelli. La modificano di nuovo. Ora va bene. Davanti è un triplice cordone spinoso. Dietro, dove gli estremi dei tre rami si incrociano, è un vero nodo di spini che entrano nella nuca.
«Vedi come stai bene? Bronzo naturale a rubini schietti. Specchiati, o re, nella mia corazza», motteggia l’ideatore del supplizio.
«Non basta la corona a fare un re. Ci vuole porpora e scettro. Nella stalla è una canna e nella cloaca è una clamide rossa. Prendile, Cornelio».
E, avutele, mettono il sudicio straccio rosso sulle spalle di Gesù e, prima di mettergli fra le mani la canna, gliela danno sul capo inchinandosi e salutando:
«Ave, re dei Giudei», e si sbellicano dalle risa.
Gesù li lascia fare. Si lascia mettere seduto sul «trono» -un mastello capovolto, certo usato per abbeverare i cavalli- si lascia colpire, schernire, senza mai parlare. Li guarda solo... ed è uno sguardo di una dolcezza e di un dolore così atroce che non lo posso sostenere senza sentirne ferita al cuore.
I soldati smettono lo scherno solo alla voce aspra di un superiore che ordina la traduzione davanti a Pilato del reo. Reo! Di che? Gesù è riportato nell’atrio, ora coperto da un prezioso velario per il sole. Ha ancora la corona, la clamide e la canna.
«Vieni avanti. Che io ti mostri al popolo».
Gesù, già franto, si raddrizza dignitoso. Oh! che è veramente re!
«Udite, ebrei. Qui è l’Uomo. Io L’ho punito. Ma ora lasciatelo andare».
«No, no! Vogliamo vederlo! Fuori! Che si veda il bestemmiatore!».
«Conducetelo fuori. E guardate non sia preso».
E mentre Gesù esce nel vestibolo e si mostra nel quadrato dei soldati, Ponzio Pilato Lo accenna colla mano dicendo:
«Ecco l’Uomo. Il vostro Re. Non basta ancora?».
Il sole di una giornata afosa, che ormai scende quasi diritto perché si è a metà tra terza e sesta, accende e dà risalto agli sguardi e ai volti: sono uomini quelli? No: iene idrofobe. Urlano, mostrano i pugni, chiedono morte...
Gesù sta eretto. Mai ebbe la nobiltà di ora. Neppure quando faceva i più potenti miracoli. Nobiltà di dolore. Ma talmente divino che basterebbe a segnarlo del nome di Dio. Ma per dire quel Nome bisogna essere almeno uomini. E Gerusalemme non ha uomini, oggi. Ma solo demoni.
Gesù gira lo sguardo sulla folla, cerca, trova, nel mare dei visi astiosi, i volti amici. Quanti? Meno di venti amici in migliaia di nemici... E curva il capo colpito da questo abbandono. Una lacrima cade... un’altra... un’altra... La vista del suo pianto non genera pietà, ma ancor più fiero odio.
Viene riportato nell’atrio.
«Dunque? Lasciatelo andare. È giustizia».
«No. A morte. Crocifiggi».
«Vi do Barabba».
«No. Il Cristo!».
«E allora prendetelo voi. E da voi crocifiggetelo. Perché io non trovo alcuna colpa in Lui per farlo».
«Si è detto Figlio di Dio. La nostra legge commina la morte al reo di tale bestemmia».
Pilato si fa pensoso. Rientra. Si siede sul suo tronetto. Pone una mano alla fronte e il gomito sul ginocchio e scruta Gesù.
«Avvicinati», dice.
Gesù va ai piedi della predella.
«È vero? Rispondi».
Gesù tace.
«Da dove vieni? Chi è Dio?».
«È il Tutto».
«E poi? Che vuol dire il Tutto? Che è il Tutto per chi muore? Sei folle... Dio non è. Io sono».
Gesù tace. Ha lasciato cadere la grande parola e poi torna a fasciarsi di silenzio.
«Ponzio, la liberta di Claudia Procula chiede di entrare. Ha uno scritto per te».
«Domine! Anche le donne ora! Venga».
Entra una romana e si inginocchia porgendo una tavoletta cerata. Deve essere quella su cui Procula prega il marito di non condannare Gesù. La donna si ritira a ritroso mentre Pilato legge.
«Mi si consiglia evitare il tuo omicidio. È vero che sei più di un aruspice? Mi fai paura».
Gesù tace.
«Ma non sai che ho potere di liberarti o di crocifiggerti?».
«Nessun potere avresti, se non ti fosse dato dall’alto. Perciò, chi mi ha dato nelle tue mani è più colpevole di te».
«Chi è? Il tuo Dio? Ho paura...».
Gesù tace.
Pilato è sulle spine. Vorrebbe e non vorrebbe. Teme il castigo di Dio, teme quello di Roma, teme le vendette giudee. Vince un momento la paura di Dio. Va sul davanti dell’atrio e tuona:
Non è colpevole».
«Se lo dici, sei nemico di Cesare. Chi si fa re è suo nemico. Tu vuoi liberare il Nazzareno. Faremo sapere a Cesare questo».
Pilato viene preso dalla paura dell’Uomo.
«Lo volete morto, insomma? E sia. Ma il sangue di questo giusto non sia sulle mie mani», e fattosi portare un catino si lava le mani alla presenza del popolo, che pare preso da frenesia mentre urla:
«Su noi, su noi il suo sangue. Su noi ricada e sui nostri figli. Non lo temiamo. Alla croce! Alla croce!».
Ponzio Pilato torna sul tronetto, chiama il centurione Longino e uno schiavo. Dallo schiavo si fa portare una tavola su cui appoggia un cartello e vi fa scrivere:
«Gesù Nazareno, Re dei Giudei». E lo mostra al popolo.
«No. Non così. Non re dei Giudei. Ma che ha detto che sarebbe re dei Giudei», così urlano in molti.
«Ciò che ho scritto, ho scritto», dice duro Pilato e, dritto in piedi, stende la mano a palma in avanti e volta in basso e ordina:
«Vada alla croce. Soldato, va. Prepara la croce».
E scende senza neppure più voltarsi verso la folla in tumulto, né verso il pallido Condannato. Esce dall’atrio... Gesù resta al centro di esso, sotto la guardia dei soldati, in attesa della croce.

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta