13ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Domenica 30 giugno 2013 – Anno C
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 9,51-62
Mentre
stavano compiendosi i
giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente
verso Gerusalemme e mandò avanti dei messaggeri. Questi si
incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i
preparativi per lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto
verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni
dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e
li consumi?». Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un
altro villaggio. Mentre andavano per la strada, un
tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». Gesù gli rispose: «Le
volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo
i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». A un
altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore,
concedimi di andare a seppellire prima mio padre». Gesù replicò: «Lascia
che i morti seppelliscano i loro morti; tu
và e annunzia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore, ma
prima lascia che io mi congedi da quelli di
casa». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi
si volge indietro, è adatto per il regno di
Dio».
Corrispondenza
nell’"Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta
Volume 9 Capitolo
575 pagina 189
Tersa
è talmente
circondata da uliveti rigogliosi che occorre esserle ben vicino per
accorgersi che la città è lì. Una cinta di ortaglie di una
fertilità splendida fa da ultimo paravento alle case. Negli orti
radicchi, insalate, legumi, giovani piante di cucurbitacee, alberi da
frutto,
pergole, fondono e intrecciano i loro verdi diversi e i loro fiori
promettenti frutto, o i frutticini promettenti delizie. Il piccolo fior
della vite
e quello degli ulivi più precoci piovono, sotto il passar di un
venticello piuttosto vibrato, a spruzzar di una neve bianco-verde il
suolo. Da
dietro un velario di canne e di salci, cresciuti presso una gora priva
d’acqua ma dal fondo umido ancora, udendo lo scalpiccio dei sopravvenuti
emergono gli otto apostoli mandati avanti prima.
Sono
visibilmente inquieti e
addolorati, e fanno cenno di fermarsi. Intanto corrono avanti. Quando
sono vicini tanto da poter essere sentiti senza aver bisogno di urlare,
dicono:
«Via! Via! Indietro, per la campagna. Non si può entrare nella città.
Per poco ci lapidano. Venite via. Là, in quel folto
parleremo...». Spingono indietro, giù per la gora asciutta, Gesù, i tre
apostoli, il ragazzo, le donne, smaniosi di allontanarsi
senza esser visti, e dicono: «Che non ci vedano qui. Andiamo! Andiamo».
Inutilmente
Gesù,
Giuda e i due figli di Zebedeo cercano di sapere cosa è accaduto.
Inutilmente dicono: «Ma Giuda di Simone? Ma Elisa?». Gli otto
sono inesorabili. Camminando fra l’intrico di steli e di piante
acquatiche, segati nei piedi dai falaschi, urtati nel viso dai salci e
dalle
canne, scivolando sulla moticcia del fondo, aggrappandosi alle erbe,
puntellandosi ai margini e infangandosi a dovere, si allontanano così,
premuti alle spalle dagli otto, che camminano con il capo quasi
all’indietro per vedere se da Tersa esce qualcuno ad inseguirli. Ma
sulla via
non c’è che il sole, che inizia il tramonto, e un magro cane vagante.
Finalmente
sono presso un
macchione di rovi che delimitano una proprietà. Dietro al macchione, un
campo di lino ondula al vento i suoi alti steli che si incielano dei
primi fiori.
«Qui, qui dentro.
Stando seduti nessuno ci vedrà, e quando sarà sera andremo...», dice Pietro asciugandosi il sudore...
«Dove?», chiede
Giuda d’Alfeo. «Abbiamo le donne».
«In
qualche luogo
andremo. Del resto i prati sono pieni di fieni segati. Sarà un letto
anche questo. Faremo tende alle donne coi nostri mantelli e noi
veglieremo».
«Sì.
Basta non
esser visti e all’alba scendere al Giordano Avevi ragione, Maestro, a
non volere la strada di Samaria. Meglio i ladroni, per noi poveri, ai
samaritani!...», dice Bartolomeo affannato ancora.
«Ma che è
successo insomma? È Giuda che ha fatto qualche...», dice il Taddeo.
Lo interrompe Tommaso:
«Giuda le ha prese di certo. Mi spiace per Elisa...».
«Hai visto
Giuda?».
«Io no. Ma è
facile esser profeti. Se si è detto tuo apostolo, certo è stato picchiato. Maestro, non ti vogliono».
«Sì. Sono tutti
rivoltati contro Te».
«Veri samaritani
sono».
Parlano tutti insieme.
Gesù impone silenzio a tutti e dice: «Uno solo parli. Tu, Simone Zelote, che sei il più calmo».
«Signore,
è
presto detto. Noi entrammo in città e nessuno ci disturbò sinché non
seppero chi siamo, sinché ci credettero pellegrini di
passaggio. Ma quando chiedemmo -lo dovevamo pur fare!- se un uomo
giovane, alto, bruno, vestito di rosso e con un talet a righe rosse e
bianche, e una
donna anziana, magra, coi capelli più bianchi che neri e una veste bigia
molto scura, erano entrati in città e avevano cercato del
Maestro galileo e dei suoi compagni, allora si inquietarono subito...
Forse non dovevamo parlare di Te. Abbiamo certo sbagliato... Ma negli
altri
luoghi fummo accolti sempre così bene che... Non si capisce cosa è
accaduto!... Sembrano vipere, quelli che soltanto tre giorni fa erano
verso Te deferenti!...».
Lo interrompe il Taddeo:
«Lavoro di giudei...».
«Non
credo. Non lo
credo per i rimproveri che ci fecero e per le minacce. Io credo... Anzi
sono, siamo sicuri che è causa dell’ira samaritana Gesù
che ha respinto la loro offerta di protezione. Urlavano: “Via! Via! Voi e
il vostro Maestro! Vuole andare ad adorare sul Moria. E vada, e muoia
Lui e tutti i suoi. Non c’è posto fra noi per quelli che non ci tengono
per amici, ma soltanto per servi. Non vogliamo altre noie se non
c’è compenso di utili. Pietre e non pane per il Galileo. I cani ad
assalirlo, non le case ad accoglierlo”.
Così,
e più di
così, dicevano. E poiché noi insistevamo per sapere almeno che era stato
di Giuda, hanno preso pietre per colpirci e veramente hanno
lanciato i cani. E urlavano fra loro: “Mettiamoci presso a tutte le
entrate. Se Egli viene ci vendicheremo”. Noi siamo fuggiti. Una donna
-c’è sempre chi è buono anche fra i malvagi- ci spinse nel suo orto e da
lì ci condusse per una viottola fra gli orti sino
alla gora che era senza l’acqua, avendo irrigato avanti il sabato. E ci
nascose lì. E poi ci promise di farci sapere di Giuda. Ma non
è più venuta. Attendiamola però qui. Perché ha detto che, se non ci
troverà nella gora, qui
verrà».
I
commenti sono molti. Chi
continua ad accusare i giudei. Chi fa un lieve rimprovero a Gesù, un
rimprovero nascosto nelle parole: «Tu hai parlato troppo chiaramente
a Sichem e poi ti sei allontanato. In questi tre giorni essi hanno
deciso che è inutile illudersi e danneggiarsi per uno che non li
accontenta... ti cacciano...».
Gesù risponde: «Non mi pento di aver detto la verità e di fare il mio dovere. Ora non comprendono. Fra poco
comprenderanno la giustizia mia e mi venereranno più che se non l’avessi avuta, e più grande dell’amore per
loro».
«Ecco! Ecco la donna
là sulla strada. Osa farsi vedere…», dice Andrea.
«Non ci tradirà,
eh?», dice sospettoso Bartolomeo.
«È
sola!».
«Potrebbe esser seguita
da gente nascosta nella gora...».
Ma
la donna, che avanza con
un cesto sul capo, prosegue superando i campi di lino, dove sono in
attesa Gesù e gli apostoli, e poi prende un sentierino e sparisce dalla
vista... riapparendo improvvisa alle spalle degli attendenti, che si
voltano quasi impauriti sentendo frusciare gli steli.
La
donna parla agli otto che
conosce: «Ecco! Perdonate se ho fatto attendere molto... Non volevo
essere seguita. Ho detto che andavo da mia madre... So... E qui ho
portato
ristoro per voi. Il Maestro... Quale è? Vorrei venerarlo».
«Quello è il
Maestro».
La
donna, che ha deposto il
suo cesto, si prostra dicendo: «Perdona alla colpa dei miei
concittadini. Se non ci fosse stato chi ha aizzato... Ma sul tuo rifiuto
hanno
lavorato in molti...».
«Non ho rancore, donna.
Alzati e parla. Sai del mio apostolo e della donna che era con lui?».
«Sì.
Cacciati
come cani, sono fuor dalla città, dall’altro lato, in attesa della
notte. Volevano tornare indietro, verso Enon, a cercarti. Volevano
venire qui, sapendo che qui erano i compagni. Ho detto che no, non lo
facessero. Che stessero quieti, che io vi condurrò a loro. E lo
farò, sol che cali il crepuscolo. Per buona sorte lo sposo mio è assente
e sono libera di lasciar la casa. Vi condurrò da una mia
sorella sposata nelle terre del piano. Dormirete là, senza dire chi
siete, non per Merod ma per gli uomini che sono con lei. Non sono
samaritani, della Decapoli sono, qui stabiliti. Ma è sempre bene...».
«Dio ti compensi. I due
discepoli hanno avuto ferite?».
«Un
poco l’uomo.
Nulla la donna. E certo l’Altissimo la protesse perché ella, fiera,
protesse suo figlio della sua persona quando i cittadini dettero mano
alle pietre. Oh! che forte donna! Gridava: “Così colpite uno che non vi
ha offeso? E non rispettate me, che lo difendo e che madre sono?
Non avete madri voi tutti, che non rispettate chi ha generato? Siete
nati da una lupa o vi siete fatti col fango ed il letame?”, e guardava
gli
assalitori tenendo aperto il mantello a difesa dell’uomo, e intanto
arretrava, spingendolo fuor dalla città... E anche ora lo conforta
dicendo: “Voglia l’Altissimo, o mio Giuda, di questo tuo sangue sparso
per il Maestro farne il balsamo del tuo cuore”. Ma è
poca ferita. Forse l’uomo è più spaurito che dolente. Ma ora prendete e
mangiate. Qui è latte munto da poco, per le donne,
e pane con formaggi e frutta. Non ho potuto cuocere carni. Avrei tardato
troppo. E qui è vino per gli uomini. Mangiate mentre scende la sera.
Poi andremo per vie sicure dai due, e poi da Merod».
«Dio ti compensi
ancora», dice Gesù e offre e spartisce il cibo mettendone da parte per i due lontani.
«No.
No. Ad essi ho
pensato io, portando uova e pane sotto le vesti e un poco di vino e olio
per le ferite. Questo è per voi. Mangiate, ché io veglio la
via...».
Mangiano,
ma lo sdegno divora
gli uomini e l’accasciamento fa svogliate le donne. Tutte, meno Maria di
Magdala, alla quale ciò che per le altre è paura o
avvilimento fa sempre l’effetto di un liquore sferzante i nervi e il
coraggio. I suoi occhi lampeggiano verso la città ostile. Solo la
presenza di Gesù, che ha già detto di non aver rancore, la trattiene da
parole fiere. E non potendo parlare né agire, scarica la
sua ira sull’innocente pane, che addenta in maniera così significativa
che lo Zelote non può trattenersi dal dirle sorridendo:
«Buon per quei di Tersa che non possano cader fra le tue mani! Sembri
una fiera tenuta in catene, Maria!».
«Lo
sono. Hai visto
giusto. E davanti agli occhi di Dio ha più valore questo mio trattenermi
dall’entrare là, come essi meritano, che non quanto feci
sin qui per espiare».
«Buona, Maria! Dio ti
ha perdonato colpe più grandi della loro».
«È
vero. Essi
hanno offeso Te, mio Dio, una volta e per suggestione altrui. Io
molte... e per volontà mia propria... e non posso essere intransigente e
superba...». Riabbassa gli occhi sul suo pane e due lacrime cadono sul
suo pane.
Marta le posa la mano in
grembo dicendole sottovoce: «Dio ti ha perdonata. Non ti avvilire più... Ricorda ciò che avesti: Lazzaro
nostro...».
«Non è
avvilimento. È riconoscenza. È emozione... Ed è anche constatazione che io sono ancor priva di quella misericordia che pur
ricevetti così ampia... Perdonami, Rabboni!», dice alzando i suoi splendidi occhi, che l’umiltà rifà
dolci.
«Il perdono mai
è negato a chi è umile di cuore, Maria».
La
sera scende, tingendo
l’aria di un delicato sfumar di viola. Le cose un poco lontane si
confondono. Gli steli del lino, prima visibili nella loro grazia, ora si
unificano in un’unica massa scura. Tacciono gli uccelli fra le fronde.
Si accende la prima stella. Frinisce il primo grillo fra l’erba.
È sera.
«Possiamo andare. Qui,
fra i campi, non saremo visti. Venite sicuri. Non tradisco. Non faccio per compenso. Chiedo solo pietà dal Cielo, ché tutti di
pietà abbiamo bisogno», dice la donna sospirando.
Si
alzano. Si avviano dietro
di lei. Passano al largo di Tersa, fra campi e ortaglie semioscure, ma
non tanto da non vedere uomini all’imbocco delle strade, intorno a dei
fuochi...
«Sono in agguato di
noi...», dice Matteo.
«Maledetti!»,
fischia fra i denti Filippo.
Pietro non parla, ma agita le
braccia verso il cielo in una muta invocazione o protesta.
Ma Giacomo e Giovanni di Zebedeo, che si sono parlati fitto fitto, là, un poco avanti degli altri, tornano indietro e dicono: «Maestro, se Tu per la tua perfezione d’amore non vuoi ricorrere al castigo, vuoi che noi lo si faccia? Vuoi che diciamo al fuoco del Cielo di discendere e consumarli questi peccatori? Tu ci hai detto che tutto possiamo di ciò che chiediamo con fede e...».
Ma Giacomo e Giovanni di Zebedeo, che si sono parlati fitto fitto, là, un poco avanti degli altri, tornano indietro e dicono: «Maestro, se Tu per la tua perfezione d’amore non vuoi ricorrere al castigo, vuoi che noi lo si faccia? Vuoi che diciamo al fuoco del Cielo di discendere e consumarli questi peccatori? Tu ci hai detto che tutto possiamo di ciò che chiediamo con fede e...».
Gesù,
che camminava un
poco curvo, come stanco, si raddrizza di scatto e li fulmina con due
sguardi che balenano alla luce della luna. I due arretrano, tacendo
impauriti
davanti a quello sguardo. Gesù, sempre fissandoli così, dice: «Voi non
sapete di quale spirito siete. Il Figlio dell’Uomo
non è venuto a perdere le anime, ma a salvarle. Non ricordate ciò che vi
ho detto? Ho detto nella parabola del grano e del loglio:
“Lasciate per ora che il grano e il loglio crescano insieme.
Perché, a volerli separare ora, rischiereste di sbarbare col loglio anche il grano. Lasciateli perciò sino alla mietitura. Al tempo della messe dirò ai mietitori: raccogliete ora il loglio e legatelo in
fasci per bruciarlo, e riponete il buon grano nel mio granaio”».
Gesù
ha già
temperato il suo sdegno verso i due che, per una ira suscitata da amore
per Lui, chiedevano di punire quelli di Tersa e che ora stanno a capo
basso
davanti a Lui. Li prende, uno a destra, uno a sinistra, per i gomiti, e
si rimette in cammino guidandoli così e parlando a tutti, che si sono
stretti intorno a Lui che si era fermato. «In verità vi dico che il
tempo del mietere è vicino. La mia prima mietitura. E per
molti non ci sarà la seconda. Ma -lode diamone all’Altissimo- qualcuno
che non seppe divenire nel mio tempo spiga di buon grano, dopo la
purificazione del Sacrificio pasquale rinascerà con un’anima nuova. Sino
a quel giorno Io non infierirò su alcuno... Dopo sarà la Giustizia...».
«Dopo la
Pasqua?», chiede Pietro.
«No.
Dopo il tempo. Non
parlo di questi uomini, di ora. Io guardo i secoli futuri. L’uomo sempre
si rinnova come le messi sui campi. E le raccolte si susseguono. E Io
lascerò quel che abbisogna perché i futuri possano farsi grano buono. Se
non lo vorranno, alla fine del mondo i miei Angeli separeranno
i logli dai grani buoni. Allora sarà l’eterno Giorno di Dio solo. Per
ora,
nel mondo è il giorno di Dio e di satana. Il Primo seminante il Bene,
il secondo gettando fra i semi di Dio i suoi dannati logli, i suoi
scandali, le sue iniquità, i suoi semi suscitatori di iniquità e
scandali. Perché sempre vi saranno quelli che
eccitano contro Dio, come qui, con questi che, in verità, sono meno colpevoli di coloro che li eccitano al male».
«Maestro, ogni anno ci
si purifica a Pasqua d’Azzimi, ma sempre si resta ciò che si era. Sarà forse diverso quest’anno?», chiede
Matteo.
«Molto
diverso».
«Perché?
Spiegacelo».
«Domani... Domani, o
quando saremo per la strada e con noi sarà anche Giuda di Simone, ve lo dirò».
«Oh! sì. Ce lo
dirai e noi ci faremo più buoni... Intanto perdonaci, Gesù», dice Giovanni.
«Ben
vi ho chiamati col
giusto nome. Ma il tuono non fa male. La saetta, sì, può uccidere. Però
il tuono molte volte preannuncia le saette. Così
avviene a chi non leva ogni disordine contro l’amore dal suo spirito.
Oggi domanda di poter punire. Domani punisce senza chiedere. Dopo domani
punisce anche senza ragione. Il discendere è facile... Perciò vi dico di
spogliarvi di ogni durezza verso il prossimo vostro. Fate come
Io faccio e sarete sicuri di non sbagliare mai. Avete forse mai visto
che Io mi vendichi di chi mi addolora?».
«No, Maestro.
Tu...».
«Maestro!
Maestro!
Siamo qui. Io ed Elisa. Oh! Maestro, quanto affanno per Te! E quanta
paura di morire...», dice Giuda di Keriot sbucando da dietro dei filari
di
vite e correndo a Gesù. Una benda gli fascia la fronte. Elisa lo segue
più calma.
«Hai patito? Hai temuto
di morire? Tanto ti è cara la vita?», chiede Gesù liberandosi da Giuda che lo abbraccia e piange.
«Non
la vita. Temevo
Dio. Morire senza il tuo perdono... Io ti offendo sempre. Tutti offendo.
Anche questa... E lei mi ha risposto facendomi da madre. Colpevole mi
sentivo
e temevo la morte...».
«Oh! salutare timore se
può farti santo! Ma Io ti perdono, sempre, tu lo sai, sol che tu abbia volontà di pentimento. E tu, Elisa? Hai
perdonato?».
«È un grande
fanciullo sfrenato. So compatire».
«Sei stata forte,
Elisa. Lo so».
«Se essa non
c’era! Non so se ti avrei rivisto, Maestro!».
«Tu vedi dunque che non
per odio ma per amore ella era rimasta al tuo fianco... Non hai patito ferita, Elisa?».
«No, Maestro. Le pietre
mi cadevano intorno senza farmi danno. Ma il cuore ha avuto molta ambascia pensando a Te...».
«Tutto è finito
ormai. Seguiamo la donna che ci vuole condurre in una casa sicura».
Si
rimettono in cammino,
prendendo una stradetta bianca di luna che va verso oriente. Gesù ha
preso per un braccio l’Iscariota ed è avanti con lui.
Dolcemente gli parla. Cerca di lavorare sul cuore scosso dalla passata
paura del giudizio di Dio: «Tu vedi, Giuda, come è facile il
morire. Sempre in agguato la morte intorno a noi. Tu vedi come ciò che
pare trascurabile cosa quando siamo pieni di vita divenga grande,
paurosamente grande cosa quando la morte ci sfiora. Ma perché voler
avere queste paure, crearsele per trovarsele di fronte nel momento del
morire, quando con una vita santa si può ignorare lo spavento del
prossimo giudizio divino? Non ti pare che meriti vivere da giusti per
avere
un placido morire? Giuda, amico mio. La divina, paterna misericordia ha
permesso questo avvenimento perché fosse un richiamo al tuo cuore. Sei
ancora in tempo, Giuda... Perché non vuoi dare al tuo Maestro che sta
per morire la gioia grande, grandissima di saperti tornato al
Bene?».
«Ma mi puoi ancora
perdonare, Gesù?».
«E così ti
parlerei se non lo potessi? Come mi conosci ancora poco! Io ti conosco. So che sei
come chi è abbrancato da una piovra gigante. Ma, se tu volessi, potresti liberarti ancora.
Oh! soffriresti, certo. Strapparsi di
dosso quelle catene che ti mordono e ti avvelenano, sarebbe dolore. Ma,
dopo, quanta gioia, Giuda! Temi di non aver forza di reagire ai tuoi
suggestionatori? Io posso assolverti in anticipo del peccato di
trasgressione al rito pasquale... Tu sei un malato. Per i malati la Pasqua non è obbligatoria. Nessuno è più malato di te. Tu sei come un lebbroso.
I lebbrosi non salgono a Gerusalemme, sinché
sono tali. Credi, Giuda, che il comparire davanti al Signore con lo
spirito immondo, quale lo hai tu, non è onorarlo, ma offenderlo. Bisogna
prima...».
«Perché allora
non mi purifichi e guarisci?», chiede già duro, riottoso, Giuda.
«Non ti guarisco!
Quando uno è malato cerca da sé la guarigione. A meno che non sia un fanciullino o uno stolto, che non sanno
volere...».
«Trattami come tali
persone. Trattami da stolto e provvedi Tu, a mia stessa insaputa».
«Non sarebbe giustizia, perché tu puoi volere. Tu sai ciò che è bene e ciò che è male
per te. E non gioverebbe il mio guarirti senza la tua volontà di rimanere guarito».
«Dammi anche
questa».
«Dartela? Importela, allora, una volontà buona? E il tuo libero arbitrio? Che diverrebbe, allora? Che sarebbe il
tuo io di uomo, creatura libera? Succube?».
«Come sono succube di
satana, potrei esserlo di Dio!».
«Come
mi ferisci,
Giuda! Come mi trapassi il Cuore! Ma per quello che mi fai, Io ti
perdono... Succube di satana, hai detto. Io non dicevo questa tremenda
cosa...».
«Ma la pensavi,
perché è vera e perché Tu la conosci, se è vero che Tu leggi nei cuori degli uomini. Se così è, Tu sai che
io non sono più libero di me... Esso mi ha preso e...».
«No. Esso si è a
te accostato, tentandoti, assaggiandoti, e tu lo hai accolto. Non
c’è
possessione se non c’è all’inizio un’adesione a qualche tentazione
satanica. Il serpente insinua il capo fra le sbarre fitte
messe a difesa dei cuori, ma non entrerebbe se l’uomo non gli allargasse
un varco per ammirarne l’aspetto seduttore, per ascoltarlo, per
seguirlo... Solo allora l’uomo diviene succube, posseduto, ma perché lo
vuole. Anche Dio saetta dai Cieli le luci dolcissime
del suo paterno amore, e le sue luci penetrano in noi. Meglio: Dio, a
cui tutto è possibile, scende nel cuore degli uomini. È il suo
diritto. Perché allora l’uomo, che sa divenire schiavo, succube
dell’Orrendo, non sa farsi servo di Dio, anzi figlio di Dio, e
scaccia il Padre suo Santissimo? Non mi rispondi? Non mi dici perché hai
preferito, voluto satana a Dio? Ma pure saresti ancora in tempo a
salvarti! Tu lo sai che Io vado a morire. Nessuno come te lo sa... Io non
mi rifiuto dal morire... Vado. Vado alla morte perché la mia morte sarà la Vita per tanti. Perché non vuoi essere fra questi?
Solo per te, amico mio, mio povero, malato amico, sarà inutile il mio morire?».
«Sarà
inutile
per tanti, non ti illudere. Faresti meglio a fuggire e a vivere lontano
di qui, godere la vita, insegnare la tua dottrina, perché è
buona, ma non sacrificarti».
«Insegnare
la mia
dottrina! Ma cosa insegnerei più di vero, se facessi il contrario di ciò
che insegno? Che Maestro sarei se predicassi l’ubbidienza
alla volontà di Dio e non la facessi, l’amore per gli uomini e poi non
li amassi, la rinuncia alla carne e al mondo e poi amassi la carne
mia e gli onori del mondo, il non dare scandalo e poi scandalizzassi non
solo gli uomini ma gli Angeli, e così via? Per te parla satana in questo momento. Come ha parlato a Efraim. Come tante volte ha
parlato e agito, attraverso a te, per turbare Me. Io le ho riconosciute tutte queste azioni di satana, compiute con tuo mezzo, e non ti ho odiato,
non ho avuto stanchezza di te, ma soltanto pena, infinita pena.
Come
una madre che sorvegli i
progressi di un male che porta alla morte il suo figlio, Io ho guardato
il progredire del male in te. Come un padre che non si fa rincrescere
cosa
alcuna pur di trovare i farmaci al suo figlio malato, Io non mi sono
fatto rincrescere nulla per salvarti, ho superato ripugnanze, sdegni,
amarezze,
sconforti... Come un padre e una madre desolati, disillusi su ogni
potere terreno, si volgono al Cielo per ottenere la vita del figlio,
così Io
ho gemuto e gemo implorando un miracolo che ti salvi, ti salvi, ti salvi
sull’orlo dell’abisso che già frana sotto i tuoi
piedi.
Giuda,
guardami! Fra poco il
mio Sangue sarà sparso per i peccati degli uomini. Non me ne resterà
goccia. Lo berranno le zolle, le pietre, le erbe, le vesti dei miei
persecutori e le mie..., il legno, il ferro, le funi, le spine del
nabacà... e lo berranno gli spiriti che attendono salute... Solo tu non
ne
vuoi bere? Io, per te soltanto, lo darei tutto questo mio Sangue. Tu sei
l’amico mio. Come si muore volentieri per l’amico! Per salvarlo!
Si dice: “Io muoio. Ma io continuerò a vivere nell’amico al quale ho
dato la vita”. Come una madre, come un padre che
continuano a vivere nella loro prole anche dopo che sono spenti. Giuda, Io te ne
supplico! Non chiedo altro in questa mia vigilia di morte. Al condannato anche i giudici, anche i nemici concedono un’ultima grazia,
esaudiscono l’ultimo desiderio. Io ti chiedo di non dannarti.
Non
lo chiedo tanto al Cielo
quanto a te, alla tua volontà... Pensa a tua madre, Giuda. Che sarà tua
madre, dopo? Che, il nome della tua famiglia? Invoco al tuo
orgoglio, questo è più che mai fiero, di difenderti contro il tuo
disonore. Non disonorarti, Giuda. Pensa. Passeranno gli anni e i
secoli, cadranno i regni e gli imperi, si illanguidiranno le stelle,
muterà la configurazione della Terra, e tu sarai sempre Giuda, come
Caino
è sempre Caino, se tu persisti nel tuo peccato. Finiranno i secoli. E
resterà soltanto Paradiso e Inferno, e in Paradiso e
nell’Inferno, per gli uomini risorti e accolti con anima e corpo, in
eterno, là dove è giusto che siano, tu sarai sempre Giuda, il
maledetto, il colpevole più grande, se non ti ravvedi. Io scenderò a
liberare gli spiriti dal Limbo, li trarrò a schiere dal
Purgatorio, e tu... non ti potrò trarre dove Io sono...
Giuda, Io vado a morire,
felice vado, perché è venuta l’ora che da millenni attendevo, l’ora di riunire gli uomini al Padre loro. Molti non li
riunirò. Ma il numero dei salvati che contemplerò nel morire mi consolerà dello strazio del morire inutilmente per tanti. Ma, Io
te lo dico, sarà tremendo vederti fra questi, tu, mio apostolo, amico mio. Non
mi dare l’inumano dolore!... Ti voglio salvare, Giuda! Salvare.
Guarda. Noi scendiamo al fiume. Domani all’alba, quando ancora
tutti dormono, noi lo passeremo, noi due, e tu andrai a Bozra, ad
Arbela, ad Aera, dove vuoi. Tu sai le case dei discepoli. A Bozra cerca
di
Gioacchino e di Maria, la lebbrosa da Me guarita. Ti darò uno scritto
per loro. Dirò che per la tua salute si esige un riposo quieto in
aria diversa. È la verità, purtroppo, poiché tu sei malato nello
spirito e l’aria di Gerusalemme ti sarebbe letale. Ma essi
crederanno che tu lo sia nel corpo. Starai là sinché Io non
te ne venga a trarre. Ai tuoi compagni penserò Io... Ma non venire a
Gerusalemme. Vedi? Non ho voluto le donne, meno le più forti fra
esse, e quelle che per diritto di madri devono essere presso i figli
loro».
«Anche la
mia?».
«No. Maria non
sarà a Gerusalemme...».
«È madre di un
apostolo essa pure e ti ha sempre onorato».
«Sì.
E avrebbe
diritto come le altre di stare vicino a Me, che ama con perfetta
giustizia. Ma appunto per questo non ci sarà. Perché Io le ho detto di
non esserci, ed ella sa ubbidire».
«Perché non deve
esserci? Cosa in lei di diverso dalla madre dei tuoi fratelli e dei figli di Zebedeo?».
«Tu. E tu lo sai perché dico questo. Ma se tu mi ascolti, se vai a
Bozra, Io manderò ad avvisare tua madre e te la farò accompagnare, perché ella, che è tanto buona, ti aiuti a guarire.
Credilo, noi soli ti amiamo così, senza misura. Tre sono che ti amano in Cielo: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, che ti hanno contemplato e che attendono il tuo volere per fare di te la gemma della Redenzione, la preda più grande strappata all’Abisso; e tre in Terra: Io, tua madre e mia Madre. Facci felici, Giuda! Noi del Cielo, noi della Terra, questi che ti amano di vero amore».
Credilo, noi soli ti amiamo così, senza misura. Tre sono che ti amano in Cielo: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, che ti hanno contemplato e che attendono il tuo volere per fare di te la gemma della Redenzione, la preda più grande strappata all’Abisso; e tre in Terra: Io, tua madre e mia Madre. Facci felici, Giuda! Noi del Cielo, noi della Terra, questi che ti amano di vero amore».
«Tu lo dici: tre soli
sono che mi amano; gli altri... no».
«Non
come noi. Ma tanto
ti amano. Elisa ti ha difeso. Gli altri erano in affanno per te. Quando
tu ci sei lontano, tutti ti hanno in cuore e il tuo nome è sulle
labbra. Tu non conosci tutto l’amore che ti circonda. Il tuo oppressore
te lo nasconde. Ma credi alla mia parola».
«Ti credo. E cercherò di farti contento. Ma voglio fare da me. Da me ho sbagliato, da me devo sapermi guarire dal
male».
«Unicamente Dio
può fare da sé. Questo tuo pensiero è di superbia. Nella
superbia è ancora satana. Sii umile, Giuda. Afferra questa mano che ti si offre amica. Rifugiati su questo cuore che ti si apre
protettore. Qui, con Me, non ti potrebbe far del male satana».
«Ho provato a stare con
Te... Sono sempre più disceso... È inutile!».
«Non lo dire! Non lo
dire! Respingi lo sconforto. Dio può tutto. Stringiti a Dio. Giuda! Giuda!».
«Taci! Che gli altri
non sentano...».
«E ti preoccupi degli
altri e non del tuo spirito? Misero Giuda!...».
Gesù non parla
più. Ma continua a stare al fianco dell’apostolo sinché la donna, che era avanti qualche metro, entra in una casa emersa da un
folto d’ulivi. Allora dice Gesù al suo discepolo: «Io non dormirò questa notte. Pregherò per te e ti
attenderò... Dio parli al tuo cuore. E tu ascoltalo... Resterò qui, dove sono ora, a pregare. Sino all’alba...
Ricordalo».
Giuda
non gli risponde. Sono
sopraggiunti gli altri e le donne, e sostano tutti insieme in attesa che
la samaritana ritorni. Non sta molto a tornare. È insieme ad
un’altra donna che le somiglia e che li saluta dicendo: «Non ho molte
stanze, perché già sono qui i segatori che per ora
lavorano agli ulivi. Ma ho grande il granaio e molta paglia è in esso.
Per le donne ho posto. Venite».
«Andate! Io resto qui
in preghiera. La pace a voi tutti», dice Gesù. E mentre gli altri se ne vanno, Egli trattiene sua Madre dicendole: «Io resto a pregare per Giuda, Madre mia. Aiutami tu
pure...».
«Ti aiuterò,
Figlio mio. Rinasce forse in lui il volere?».
«No, Mamma. Ma noi
dobbiamo fare come se... Il Cielo può tutto, Mamma!».
«Sì.
E io posso
ancora illudermi. Non Tu, Figlio mio. Tu sai. Santo Figlio mio! Ma io Ti
imiterò sempre. Va’ tranquillo, amor mio! Anche quando Tu non
potrai più parlargli, perché egli Ti fuggirà, Io cercherò di condurtelo.
E sol che il Padre Santissimo ascolti il mio
dolore... Mi lasci stare con Te, Gesù? Pregheremo insieme... e saranno
tante ore da averti per me sola...».
«Resta, Mamma. Ti
attendo qui».
Maria va lesta e lesta
torna.
Si
siedono sulle loro sacche,
ai piedi degli ulivi. Nel gran silenzio si sente il fruscio del fiume
poco lontano, e il canto dei grilli sembra forte nel gran tacere della
notte.
Poi cantano gli usignoli. E ride una civetta. E piange un assiolo. E le
stelle trasmigrano lente nel firmamento, regine, ora che la luna più
non le offusca essendo già tramontata. E poi un gallo rompe l’aria cheta
col suo squillante richiamo. Molto più lontano, appena
percepibile, un altro gallo risponde. Poi di nuovo il silenzio, rotto da
un arpeggiar di guazze, che cadono dalle tegole della prossima casa sul
selciato che la contorna. E poi un fruscio nuovo fra le fronde, come
perché scuotano l’umido notturno, e un isolato pispolio di uccello
che si ridesta, e contemporaneamente un mutar del cielo, un ridestarsi
della luce. È l’alba. E Giuda non è
venuto...
Gesù guarda la Madre,
bianca come un giglio contro l’ulivo scuro, e le dice: «Abbiamo pregato, Madre. La preghiera nostra Dio la
userà...».
«Sì,
Figlio mio.
Sei pallido come la morte. Veramente la tua vitalità si è esalata tutta
in questa notte per premere sulle porte dei Cieli e sui decreti
di Dio!».
«Tu pure sei pallida,
Madre. Grande è la tua fatica».
«Grande è il mio
dolore per il tuo dolore».
La porta della casa si apre
cauta... Gesù trasale. Ma non è che la donna che li ha condotti, quella che esce senza fare rumore. Gesù sospira: «Ho
sperato di essermi potuto sbagliare!».
La donna viene avanti col suo cesto vuoto. Vede Gesù. Lo saluta e proseguirebbe. Ma Egli la chiama. Le dice: «Il Signore di tutto ti compensi. Io pur vorrei, ma non ho nulla con Me».
La donna viene avanti col suo cesto vuoto. Vede Gesù. Lo saluta e proseguirebbe. Ma Egli la chiama. Le dice: «Il Signore di tutto ti compensi. Io pur vorrei, ma non ho nulla con Me».
«Nulla vorrei, Rabbi.
Nessun compenso. Ma una cosa vorrei, pur non volendo denaro. E questa me la puoi dare!».
«Che,
donna?».
«Che il cuore del mio
sposo mutasse. E questo Tu lo puoi fare, perché Tu sei veramente il Santo di Dio».
«Va’ in pace. Ti
sarà fatto come tu chiedi. Addio».
La donna se ne va lesta verso
la sua casa, che deve essere ben triste.
Maria commenta:
«Un’altra infelice. Per questo è buona!...».
Si
affaccia dal granaio la
testa arruffata di Pietro e, dietro la sua, quella luminosa di Giovanni,
e poi il profilo severo del Taddeo, e il volto brunastro dello Zelote, e
il
viso magro del giovinetto Beniamino... Tutti sono desti. Ecco dalla casa
uscire prima di tutte Maria di Magdala, e dietro lei Niche, e poi le
altre.
Quando tutti sono riuniti e la donna che li ha ospitati ha già portato
un secchiello di latte ancor schiumoso, appare l’Iscariota. Non ha
più la benda. Ma il livido della percossa gli tinge metà della fronte, e
l’occhio è ancor più cupo nel cerchio
violaceo. Gesù lo guarda. Giuda guarda Gesù e poi volge il capo altrove.
Gesù gli dice:
«Acquista dalla donna
quanto può darci. Noi andiamo avanti. Raggiungici».
E veramente Gesù,
salutata la donna, si avvia. Tutti Lo seguono.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta
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