Natività di San Giovanni
Battista
Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Domenica 24 Giugno
2012 - Solennità
Dal
Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 1,57-66.80
Per
Elisabetta intanto si
compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i
parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande
misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per
circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre,
Zaccaria.
Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non
c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo
nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si
chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo
nome». Tutti furono meravigliati. All'istante gli si aprì la bocca e gli
si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini
furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si
discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le
custodivano
in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano
del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava
nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua
manifestazione a Israele.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nell’"Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta
Volume 1 Capitolo 23 pagina 134
In
mezzo alle ripugnati cose
che ci offre il mondo di ora, scende dal Cielo -e non so come lo possa
fare, dato che io sono come un fuscello in preda al vento in questi
continui
urti contro la malvagità umana, così discorde da quanto vive in me-
scende dal Cielo questa visione di pace.
Ancora
e sempre la casa di
Elisabetta. In una bella sera d'estate, ancor chiara di un ultimo sole e
pur già ornata nel cielo da un arco falcato di luna, che pare una
virgola
d’argento messa su un gran drappo azzurro intenso.
I
rosai odorano fortemente e
le api fanno gli ultimi voli, gocce d’oro ronzanti nell’aria cheta e
calda della sera. Dai prati viene un grande odore di fieni asciugati
al sole, un odor di pane quasi, di pane caldo, appena sfornato. Forse
viene anche dai molti teli stesi ad asciugare per ogni dove e che ora
Sara
piega.
Maria passeggia dando il
braccio alla cugina. Adagio adagio vanno su e giù, sotto la pergola semioscura.
Ma Maria ha occhio a tutto e,
pur occupandosi di Elisabetta, vede che Sara è impicciata a ripiegare un lungo telo che ha tolto da una siepe.
“Attendimi qui
seduta” dice alla parente.
E va ad aiutare la vecchia
servente, tirando la tela per raddrizzarla e piegandola poi con cura.
“Sanno ancora di sole,
sono caldi” dice con un sorriso.
E
per far felice la donna
aggiunge: “Questa tela, dopo la tua imbiancatura, è diventata bella
quanto mai. Non ci sei che te che sai fare così bene”. Sara se ne va
gongolante col suo carico di tele fragranti.
Maria torna da Elisabetta e
dice:
“Ancora un pochino di
passi. Ti faranno bene”.
E siccome Elisabetta, stanca,
non vorrebbe muoversi, le dice:
“Andiamo soltanto a
vedere se i tuoi colombi sono tutti nei loro nidi e se l’acqua della loro vasca è monda. Poi torniamo a casa”.
I
colombi devono essere i
prediletti di Elisabetta. Quando sono davanti alla rustica torretta dove
i colombi sono tutti raccolti -le femmine nelle cove, i maschi davanti
alle
stesse e non si muovono, ma vedendo le due donne hanno ancora un
cruccolio di saluto- Elisabetta si commuove. La debolezza del suo stato
la soverchia
le dà dei timori che la fanno piangere. Si confessa cugina.
“Se
avessi a morire...
poveri colombini miei! Tu non resti. Restassi tu nella mia casa, non mi
importerebbe di morire. Ho avuto il massimo di gioia che donna possa
avere,
una gioia che m’ero rassegnata a non conoscere mai, ed anche della morte
non posso lamentarmi col Signore perché Egli, ne sia benedetto, mi ha
colmata della sua benignità. Ma c’è Zaccaria... e ci sarà il bambino.
Uno vecchio e che si troverebbe come perduto in un deserto senza la sua
donna. L’altro così piccino che sarebbe come fiore destinato a morir di
gelo perché senza la sua mamma. Povero bambino senza le carezze della
madre!..”.
“Ma
perché triste
così? Dio ti ha dato la gioia d’esser madre, né te la leverà quando essa
è piena. Il piccolo Giovanni avrà tutti i baci della mamma e
Zaccaria tutte le cure della sposa fedele sino alla sua tarda
vecchiezza. Uno non morrà lasciando l’altro solo”.
“Tu sei buona e mi
conforti. Ma io sono vecchia tanto per avere un figlio. Ed ora che sto per averlo ho paura”.
“Oh!
no! C’è qui
Gesù! Non bisogna avere paura dove è Gesù. Il mio Bambino ti ha levato
la sofferenza, tu l’hai detto, quando era come un boccio appena
formato. Ora che sempre più si completa e già vive come creatura mia -ne
sento battere il cuoricino nella mia gola e mi par di avere posato su
essa
un uccellino di nido dal cuoricino pulsante leggero- leverà da te ogni
pericolo. Devi aver fede”.
“Ne
ho. Ma se
morissi... non lasciare subito il mio Zaccaria. So che pensi alla tua
casa. Ma resta un poco ancora. Per aiutare l'uomo mio nel primo dolore”.
“Io
resterò per bearmi
della tua e della sua gioia, e ti lascerò quando sarai forte e lieta. Ma
stai quieta, Elisabetta. Tutto andrà bene. La tua casa non soffrirà di
nulla mentre tu soffrirai. Zaccaria sarà servito dalla più amorosa
ancella, i tuoi fiori saranno curati, e curati i colombi, e li troverai,
questi e
quelli, lieti e belli per far festa alla ben tornata padrona.
Rientriamo, ora, perché tu impallidisci...”.
“Sì, mi pare di
soffrire di nuovo. Forse l’ora è giunta. Maria, prega per me”.
“Ti sorreggerò con la
preghiera finchè il tuo travaglio non sarà finito in gioia”.
E
le due donne rientrano
lentamente in casa. Elisabetta si ritira nelle sue stanze. Maria, destra
e previdente, dà ordini e prepara tutto quanto può occorrere, e
conforta
Zaccaria impensierito.
Nella casa, che veglia in questa notte e dove ci sono voci estranee di donne chiamate in aiuto, Maria resta vigile come un faro in una notte di tempesta. Tutta la casa gravita su Lei. Ed Ella, dolce e sorridente, provvede a tutto. E prega. Quando non è chiamata per questo o per quello, Ella si raccoglie in preghiera. È nella stanza dove si raccoglievano sempre per i pasti e per il lavoro.
Nella casa, che veglia in questa notte e dove ci sono voci estranee di donne chiamate in aiuto, Maria resta vigile come un faro in una notte di tempesta. Tutta la casa gravita su Lei. Ed Ella, dolce e sorridente, provvede a tutto. E prega. Quando non è chiamata per questo o per quello, Ella si raccoglie in preghiera. È nella stanza dove si raccoglievano sempre per i pasti e per il lavoro.
E
con Lei è Zaccaria, che
sospira e passeggia turbato. Hanno già pregato insieme. Poi Maria ha
continuato a pregare. Anche ora che il vecchio, stanco, si è seduto sul
suo
seggiolone presso la tavola e tace sonnacchioso, Ella prega. E quando lo
vede dormire del tutto, col capo sulle braccia conserte appoggiate al
tavolo,
Ella si slaccia i sandali per far meno rumore e cammina scalza e,
facendo meno chiasso di quanto può farne una farfalla aggirandosi per
una camera,
Ella prende il mantello di Zaccaria e glielo stende sopra con una
leggerezza tale che egli continua a dormire nel tepore della lana che lo
difende dal
fresco notturno, che entra a sbuffi dalla porta di sovente aperta. Poi
torna a pregare. E sempre più intensamente prega, in ginocchio, a
braccia
alzate, quando il lamento della sofferente si fa più acuto. Sara entra e
le fa cenno di uscire. Maria esce, coi suoi piedi scalzi, nel giardino.
“La padrona vi
vuole” dice.
“Vengo”
e Maria
cammina lungo la casa, sale la scala... Pare un angelo bianco che si
aggiri nella notte quieta e piena di astri. Entra da Elisabetta.
“Oh! Maria! Maria!
Quanto dolore! Non ne posso più, Maria! Quanto dolore si deve soffrire per esser madre!”.
Maria
prende le due mani
rugose e gonfie e se le posa sull’addome arrotondato, tenendole premute
con le sue manine lisce e sottili. E parla piano, ora che sono sole:
«Gesù
è lì che ti
sente e vede. Confida, Elisabetta. Il suo Cuore santo batte più forte,
poiché Egli ora opera per il tuo bene. Lo sento palpitare come lo avesse
fra
mano e mano. Io le capisco le parole di palpito che mi dice il mio
Bambino. Egli ora mi dice: “Di' alla donna che non tema. Ancora un poco
di
dolore. E poi, col primo sole, fra le tante rose che aspettano quel
raggio mattutino per aprirsi sullo stelo, la sua casa avrà la rosa più
bella, e
sarà Giovanni, il mio Precursore”.
Elisabetta
posa anche il
volto sul seno di Maria e piange piano. Maria sta qualche tempo così,
poiché pare che il dolore si assopisca in una sosta di ristoro. E
accenna a
tutti di star quieti. Resta in piedi, bianca e bella nel tenue chiarore
di un lume ad olio, come un angelo presso chi soffre. Prega. La vedo
muovere
le labbra. Ma anche se non le vedessi muovere, capirei che prega
dall’espressione rapita del viso.
Il
tempo passa. E il dolore
riprende Elisabetta. Maria la bacia nuovamente e si ritira. Scende
svelta nel raggio di luna e corre a vedere se il vecchio dorme ancora.
Dorme, e
geme nel sonno.
Maria ha un gesto di pietà.
Si rimette a pregare.
Passa
il tempo. Il vecchio si
scuote dal suo sonno ed alza un volto confuso, come di chi mal si
sovviene perché è lì. Poi ricorda. Ha un gesto ed una esclamazione
gutturale. Poi
scrive:
“Non è nato
ancora?” Maria fa un gesto di diniego.
Zaccaria scrive:
“Quanto dolore! Povera donna mia! Riuscirà senza morirne?”.
Maria
prende la mano del
vecchio e lo rassicura: “All’alba, fra poco, il bambino sarà nato. Tutto
andrà bene. Elisabetta è forte. Come sarà bello questo giorno
-poiché fra poco è giorno- in cui il tuo bambino vedrà la luce! Il più
bello della tua vita! Grazie grandi ha in serbo per te il Signore, e il
tuo
bambino ne è l’annunziatore”.
Zaccaria scuote il capo
mestamente e accenna alla sua bocca muta. Vorrebbe dire tante cose e non può.
Maria comprende e risponde:
«Il Signore farà completa la tua gioia. Credi in
Lui completamente, spera infinitamente, ama totalmente.
L’Altissimo ti esaudirà più che tu non osi sperarlo. Egli vuole questa
tua fede totale a lavacro della tua diffidenza passata. Dì nel tuo
cuore, con me: “Credo”. Dillo ad ogni battito del cuore. I tesori di Dio
si aprono a chi crede in Lui e nella sua potente bontà».
La
luce comincia a penetrare
dalla porta socchiusa. Maria l’apre. L’alba fa tutta bianca la terra
rugiadosa. C’è un grande odore di terra umida e di verde, e i
primi zirli di uccelli si chiamano da ramo a ramo.
Il
vecchio e Maria vanno
sulla porta. Sono pallidi per la notte insonne e la luce dell’alba li fa
ancor più pallidi. Maria si rimette i suoi sandali e va ai piedi della
scala e ascolta. E quando una donna si affaccia, accenna e poi torna.
Nulla ancora.
Maria
va in una stanza e
torna con del latte caldo che fa bere al vecchio, va dai colombi, torna a
scomparire in quella stanza. Forse è la cucina. Gira, sorveglia. Pare
abbia
dormito il più bel sonno, tanto è svelta e serena.
Zaccaria
passeggia
nervosamente su e giù per il giardino. Maria lo guarda con pietà. Poi
entra di nuovo nella stanza solita e, inginocchiata presso il suo
telaio,
prega intensamente, perché il lagno della sofferente si fa più acuto. Si
curva fino a terra per supplicare l’Eterno. Zaccaria rientra e la
vede così prostrata e piange, il povero vecchio. Maria si alza e lo
prende per mano. È tanto più giovane, ma pare Lei la mamma di quella
vecchiezza
desolata, e versa su essa i suoi conforti.
Stanno così l’uno
presso l’altra nel sole che fa rosea l’aria del mattino, e così li raggiunge l’annuncio festante:
“È
nato! È nato! Un
maschio! Padre felice! Un maschio florido come una rosa, bello come il
sole, forte e buono come la madre. Gioia a te, padre benedetto dal
Signore, che
un figlio ti ha dato perché tu lo offra al suo Tempio. Gloria a Dio, che
ha concesso posterità a questa casa! Benedizione a te e al figlio che
ti è
nato! Possa la tua progenie perpetuare il tuo nome nei secoli dei secoli
per generazioni e generazioni, e sia sempre in alleanza col Signore
eterno”.
Maria
con lacrime di gioia
benedice il Signore. E poi i due ricevono il piccolo, portato al padre
perché lo benedica. Zaccaria non va da Elisabetta. Riceve il bambino,
che
strilla come un disperato, ma non va dalla moglie.
Ci va Maria, portando con amore il piccino, il quale tace subito non appena Lei lo prende fra le braccia.
La comare che la segue nota
il fatto.
“Donna”
dice a
Elisabetta, “il tuo bambino ha subito taciuto quando Ella lo ha preso.
Guarda come dorme quieto. E lo sa il Cielo quanto è inquieto e forte.
Ora guarda! Pare un colombino!”.
Maria posa la creatura presso
la madre e la carezza ravviandole i capelli grigi.
“La rosa è nata”
le dice piano. “E tu sei viva. Zaccaria è felice”.
“Parla?”.
“Non ancora. Ma spera
nel Signore. Riposa adesso. Io sto con te”.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta
Nessun commento:
Posta un commento