20ª DOMENICA DEL TEMPO
ORDINARIO
Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Domenica 18 agosto
2013 – Anno C
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 12,49,53
In
quel tempo, Gesù
disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e
quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale
sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate
che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico,
ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone,
saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre
contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro
madre, suocera contro nuora e nuora contro
suocera».
Corrispondenza
nell’”Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 4 Capitolo
276
10
settembre 1945.
Gesù
benedice e si
ritira in un folto di bosco con gli apostoli e i discepoli per prendere
cibo e ristoro. Ma, mentre mangiano, Egli ancora parla continuando la
lezione
di prima, ripetendo un tema già detto agli apostoli più volte e che
credo sarà sempre insufficientemente detto, perché
l’uomo è troppo preso dalle paure stolte.
«Credete»,
dice,
«che solo di questo arricchimento di virtù occorre preoccuparsi. E
badate: non sia mai la vostra una preoccupazione affannosa, inquieta.
Il bene è nemico delle inquietudini, delle paure, delle frette, che troppo
risentono ancora di avarizia, di gelosia, di diffidenza umana.
Il
vostro lavoro sia
costante, fiducioso, pacifico. Senza brusche partenze e bruschi arresti.
Così fanno gli onagri selvaggi. Ma nessuno li usa, a meno che sia un
matto, per fare del sicuro cammino. Pacifici nelle vittorie, pacifici
nelle sconfitte. Anche il pianto per un errore fatto, che vi addolora
perché con esso errore avete spiaciuto a Dio, deve essere pacifico,
confortato dall’umiltà e dalla fiducia. L’accasciamento,
il rancore verso se stesso, è sempre sintomo di superbia e così anche di
sfiducia. Se uno è umile sa di essere un povero uomo
soggetto alle miserie della carne che talora trionfa. Se uno è umile ha
fiducia non tanto in sé quanto in Dio, e sta calmo anche nelle
disfatte dicendo: “Perdonami, Padre. Io so che Tu sai la mia debolezza
che mi prevale talora. Io credo che Tu mi compatisci. Io ho ferma
fiducia
che Tu mi aiuterai in avvenire ancor più di prima, nonostante io ti
soddisfi così poco”.
E
non siate né apatici
né avari dei beni di Dio. Di quanto avete di sapienza e virtù, date.
Siate operosi nello spirito come gli uomini lo sono per le cose
della carne.
E, riguardo alla carne, non imitate quelli del mondo, che sempre tremano per il loro domani, per la paura che manchi loro il
superfluo, che la malattia venga, che venga la morte, che i nemici possano nuocere e così via.
Dio
sa di che abbisognate.
Non temete perciò per il vostro domani. Siate liberi dalle paure più
pesanti delle catene dei galeotti. Non vi prendete pena della
vostra vita, né per il mangiare, né per il bere, né per il vestire. La
vita dello spirito è da più di quella del
corpo, e il corpo è da più del vestito, perché col corpo, non col
vestito, voi vivete, e con la mortificazione del corpo aiutate
lo spirito a conseguire la vita eterna.
Dio sa fino a quando lasciarvi l’anima nel corpo, e fino a quell’ora vi darà ciò che è
necessario.
Lo
dà ai corvi,
animali impuri che si pascono di cadaveri e che hanno la loro ragione di
esistere appunto in questa loro funzione di eliminatori di
putrefazioni. E
non lo darà a voi? Essi non hanno dispense e granai, eppure Dio li nutre
lo stesso. Voi siete uomini e non corvi. Presentemente, poi, siete il
fior degli uomini, perché siete i discepoli del Maestro, gli
evangelizzatori del mondo, i servi di Dio. E potete pensare che Iddio,
che ha cura
dei gigli delle convalli e li fa crescere e li veste di veste che più
bella non l’ebbe Salomone, senza che loro compiano altro lavoro che
profumare, adorando, possa trascurare voi anche nella veste?
Voi
sì che da soli non
potete aggiungere un dente alle bocche sdentate, né allungare di un
pollice la gamba rattratta, né dare acutezza alla pupilla
annebbiata. E, se non potete fare queste cose, potete pensare di poter
respingere da voi miseria e malattia e far spuntare cibo dalla polvere?
Non
potete. Ma non siate gente di poca fede. Avrete sempre di che vi è
necessario. Non vi appenate come le genti del mondo, che si arrabattano
per
provvedersi di che godere. Voi avete il Padre vostro che sa di che
abbisognate. Voi dovete solo cercare -e sia la prima delle vostre cure-
il Regno di
Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in più.
Non temete, voi del mio piccolo gregge. Al Padre mio è piaciuto chiamarvi al Regno perché voi abbiate questo
Regno.
Potete perciò aspirare
ad esso ed aiutare il Padre con la vostra buona volontà e santa operosità. Vendete i vostri beni, fatene elemosina se siete soli.
Date ai vostri il viatico del vostro abbandono della casa per seguire
Me,
perché è giusto non levare il pane ai figli e alle spose. E, se non
potete perciò sacrificare le ricchezze di denaro, sacrificate
le ricchezze di affetto. Anche queste sono monete che Dio valuta per
quello che sono: oro più puro d’ogni altro, perle più
preziose di quelle rapite ai mari, e rubini più rari di quelli delle
viscere del suolo. Perché rinunciare alla famiglia per Me è
carità perfetta più di oro senza atomo impuro, è perla fatta di pianto, e
rubino fatto di sangue che geme dalla ferita del cuore,
lacerato dal distacco da padre e madre, sposa e figli.
Ma queste borse non si
logorano, questo tesoro non viene mai meno. I ladri non penetrano in Cielo. Il tarlo non corrode ciò che là è depositato. E
abbiate il Cielo nel cuore e il cuore in Cielo presso il vostro tesoro. Perché
il cuore, nel buono o nel malvagio, è là dove è ciò che vi sembra vostro caro tesoro. Perciò, come il
cuore è là dove è il tesoro (in Cielo), così il tesoro è là dove è il cuore (ossia in voi), anzi il
tesoro è nel cuore e col tesoro dei Santi è nel cuore il Cielo dei Santi.
Siate
sempre pronti come chi
è in procinto di viaggio o in attesa del padrone. Voi siete servi del
Padrone-Iddio. Ad ogni ora vi può chiamare dove Egli è, o
venire dove voi siete. Siate perciò sempre pronti ad andare, o a fargli
onore stando a fianchi cinti da cintura di viaggio e di lavoro, e con
le lampade accese nelle mani. Uscendo da una festa di nozze con uno che
vi abbia preceduto nei Cieli e nella consacrazione a Dio sulla Terra,
Dio
può sovvenirsi di voi che attendete e può dire: “Andiamo da Stefano o da
Giovanni, oppure da Giacomo e da Pietro”. E Dio
è veloce nel venire o nel dire: “Vieni”. Perciò siate pronti ad aprirgli
la porta quando Egli giungerà, o a partire
se Egli vi chiama.
Beati
quei servi che il
Padrone, arrivando, troverà vigilanti. In verità, per ricompensarvi
della attesa fedele, Egli si cingerà la veste e, fattili
sedere a tavola, si metterà a servirli. Può venire alla prima vigilia,
come alla seconda e alla terza. Voi non lo sapete. Siate
perciò sempre vigilanti. E beati voi se lo sarete e così vi troverà il
Padrone! Non vi lusingate col dire:
“C’è tempo! Questa notte Egli non viene”. Ve ne accadrebbe male. Voi non
sapete. Se uno sapesse quando il ladro viene, non
lascerebbe incustodita la casa perché il malandrino possa sforzarne la
porta e i forzieri. Anche voi state preparati, perché, quando
meno ve lo penserete, verrà il Figlio dell’uomo dicendo: “È l’ora”».
Pietro, che si è
persino dimenticato di finire il suo cibo per ascoltare il Signore, vedendo che Gesù tace, chiede: «Questo che dici è per noi o
per tutti?».
«È per voi e per
tutti. Ma più è per voi, perché voi siete come intendenti preposti dal Padrone a capo dei servi e avete doppio dovere di stare
pronti, e per voi come intendenti, e per voi come semplici fedeli.
Che
deve essere
l’intendente preposto dal padrone a capo dei suoi familiari per dare a
ciascuno, a suo tempo, la giusta porzione? Deve essere accorto e fedele.
Per compiere il suo proprio dovere, per far compiere ai sottoposti il
loro proprio dovere. Altrimenti ne soffrirebbero gli interessi del
padrone, che
paga perché l’intendente faccia in sua vece e ne tuteli gli interessi in
sua assenza. Beato quel servo che il padrone, tornando alla sua
casa, trova ad operare con fedeltà, solerzia e giustizia. In verità vi
dico che lo farà intendente anche di altre
proprietà, di tutte le sue proprietà, riposando e giubilando in cuor suo
per la sicurezza che quel servo gli dà.
Ma
se quel servo dice:
“Oh! bene! Il padrone è molto lontano e mi ha scritto che tarderà a
tornare. Perciò io posso fare ciò che mi pare e
poi, quando penserò prossimo il ritorno, provvederò”. E comincerà a
mangiare e a bere fino ad essere ubriaco e a dare
ordini da ebbro e, poiché i servi buoni, a lui sottoposti, si rifiutano
di eseguirli per non danneggiare il padrone, si dà a battere
servi e serve fino a farli cadere in malattia e languore. E crede di
essere felice, e dice: “Finalmente gusto ciò che è esser
padrone e temuto da tutti”.
Ma
che gli avverrà?
Gli avverrà che il padrone giungerà quando meno egli se lo aspetta,
magari sorprendendolo nell’atto di intascare denaro o di
corrompere qualche servo fra i più deboli. Allora, Io ve lo dico, il
padrone lo caccerà dal posto di intendente, e persino dalle file
dei suoi servi, perché non è lecito tenere gli infedeli e traditori in
mezzo agli onesti. E tanto più sarà punito quanto
più il padrone prima lo aveva amato e istruito.
Perché
chi più
conosce la volontà e il pensiero del padrone più è tenuto a compierlo
con esattezza. Se non fa così come il padrone ha
detto, ampiamente, come a nessun altro, avrà molte percosse, mentre chi,
come servo minore, ben poco sa e sbaglia credendo di far bene,
avrà castigo minore. A chi molto fu dato molto sarà chiesto, e dovrà
rendere molto chi molto ebbe in custodia, perché
sarà chiesto conto ai miei intendenti anche dell’anima del pargolo di
un’ora.
La
mia elezione non è
fresco riposo in un boschetto fiorito. Io sono venuto a portare fuoco
sulla Terra; e che posso desiderare se non che si accenda? Perciò mi
affatico e voglio vi affatichiate fino alla morte e finché la Terra sia
tutta un rogo di fuoco celeste. Io devo essere battezzato con un
battesimo. E come sarò angustiato finché non sarà compiuto! Non vi
chiedete perché? Perché per esso potrò di voi fare dei portatori del Fuoco, degli agitatori che si muoveranno in tutti e
contro tutti gli strati sociali, per farne un’unica cosa: il gregge di Cristo.
Credete
voi che Io sia venuto
a metter pace sulla Terra? E secondo il modo di vedere della Terra? No.
Ma anzi discordia e separazione. Perché d’ora innanzi, e fintanto
che tutta la Terra non sarà un unico gregge, di cinque che sono in una
casa due saranno contro tre, e sarà il padre contro il figlio, e
questo contro il padre, e la madre contro le figlie, e queste contro
quella, e le suocere e nuore avranno un motivo di più per non
intendersi,
perché un linguaggio nuovo sarà su certe labbra e accadrà come una
Babele, perché un sommovimento profondo scuoterà
il regno degli affetti umani e soprumani. Ma poi verrà l’ora in cui tutto si unificherà in una lingua nuova, parlata da tutti i salvati dal Nazareno, e si depureranno le acque dei sentimenti,
andando sul fondo le scorie e brillando alla superficie le limpide onde dei laghi celesti.
In verità che non
è riposo il servirmi, secondo quanto dà, l’uomo, di significato a questa parola. Occorre eroismo e instancabilità. Ma Io ve
lo dico: alla fine sarà Gesù, sempre e ancora Gesù, che si cingerà la veste per servirvi, e poi si siederà con voi
ad un banchetto eterno e sarà dimenticata fatica e dolore.
Ora,
posto che nessuno
più ci ha cercato, andiamo al lago. Riposeremo in Magdala. Nei giardini
di Maria di Lazzaro c’è posto per tutti, ed ella ha messo
la sua casa a disposizione del Pellegrino e dei suoi amici. Non occorre
che vi dica che Maria di Magdala è morta col suo peccato ed è
rinata dal suo pentimento Maria di Lazzaro, discepola di Gesù di
Nazaret. Voi lo sapete già, perché la notizia è corsa
come fremito di vento in una foresta. Ma Io vi dico ciò che non sapete:
che tutti i beni personali di Maria di Lazzaro sono per i servi di Dio e per i poveri di Cristo. Andiamo...».
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